la Repubblica, 10 giugno 2024
Iran, decimati i candidati per il dopo Raisi sfida solo tra conservatori
Questa volta Mohammad Qalibaf potrebbe davvero arrivare alla presidenza dell’Iran. Dopo averci provato per ben tre volte senza successo, nel 2005, 2013 e 2017, l’ex comandante pasdaran, 63 anni, è uno dei due candidati più forti tra i sei autorizzati dal consiglio dei Guardiani a partecipare alle elezioni presidenziali convocate dopo la morte di Ebrahim Raisi in un incidente, insieme all’ultraconservatore Saeed Jalili, 59 anni.
Il consiglio, i cui membri sono scelti per metà dalla Guida Suprema e per l’altra metà dal Parlamento, ha escluso dalla corsa i candidati riformisti e moderati più di peso come Eshaq Jahangiri, ex vice dell’ex presidente moderato Rouhani; Ali Larijani, un veterano della politica iraniana e l’ex presidente populista Ahmadinajed. La scelta è un’indicazione chiara delle intenzioni della leadership iraniana che ha voluto una competizione chiusa e tutta interna al fronte conservatore. Gli altri ammessi infatti sono i radicali Alireza Zakani, 59 anni, attuale sindaco di Teheran, Mustafa Purmohamadi, ex ministro dell’Interno e Ghazizadeh Hashemi, capo della potente Fondazione dei Martiri, ma si tratta di personaggi minori, senza seguito sociale.
L’unico riformista che potrà presentarsi è invece Masoud Pezeshkian, 70 anni, deputato e sindaco della città di Tabriz, ma per il fronte delle opposizioni è un altro rompicapo. Pezeshkian potrebbe mobilitare una parte di elettorato che da anni non vota e una parte degli azeri, essendo stato rappresentante dell’Azarbaijain in Parlamento. Ma resta un candidato con poche chance e sostenerlo significherebbe partecipare a elezione che i riformisticonsiderano ingiusta perché stati esclusi i candidati che avrebbero potuto davvero sfidare i radicali.
«L’elenco finale mostra che Khamenei non aveva intenzione di aprire la corsa presidenziale a centristi come Larijani che avrebbero potuto migliorare le relazioni con l’Occidente. La vera competizione sarà tra Qalibaf, conservatore tecnocrate, che gode di un sostegno significativo all’interno delle Irgc (il corpo dei guardiani della rivoluzione,ndr )ed è noto come un abile amministratore e Jalili che rappresenta il fondamentalismo: la sua vittoria sarebbe considerata un risultato allarmante da molti iraniani anche nell’establishment», commenta ArashAzizi, storico e scrittore iraniano.
Qalibaf è per molti iraniani una figura in chiaroscuro. Esponente della prima generazione di rivoluzionari formatasi tra i Pasdaran durante la guerra Iran-Iraq, è stato capo della polizia negli anni della repressione dei movimenti studenteschi del 1999 e del 2003. Da sindaco diTeheran per due consiliature viene ricordato per l’approccio fattivo e buoni risultati nell’amministrazione ma anche per diversi scandali di corruzione.
Ieri, dopo l’annuncio delle candidature ammesse, non pochi hanno notato la coincidenza con l’arresto di Yashar Soltani, un giornalista investigativo che aveva lavorato proprio sui casi di corruzione legati all’amministrazione Qalibaf.
Parlando ai giornalisti dopo la candidatura, Qalibaf ha promessodi continuare sulla stessa strada di Raisi e del generale Soleimani, figura venerata da molti in Iran dopo la sua uccisione nel 2020 per mano americana, riaffermando così la sua lealtà alla leadership. Da due legislature Speaker del Parlamento, Qalibaf ha buoni rapporti con l’Italia, ma non è chiaro in caso di elezione che tipo di approccio vorrà tenere nei confronti dell’Occidente.
Il suo vero sfidante è Jalili, 59 anni, ultraconservatore, membro del Consiglio supremo per la Sicurezza nazionale ed ex negoziatore capo fra il 2007 e il 2013 sul dossier nucleare, che a sua volta si contenderà il voto radicale con gli altri candidati ultraconservatori.
«La Repubblica islamica non vuole correre il minimo rischio che venga messo in discussione il dominio dei conservatori sul governo»– osserva Hamidreza Azizi, analista e studioso. L’ammissione di Pezeshkian, dice, sembra più «mirata a creare l’illusione che tutte le fazioni siano rappresentate».
L’incognita ora è quanti iraniani saranno disposti a sostenere questa scelta, dopo che alle ultime parlamentari l’affluenza è scesa al minimo storico, il 41%, evidenziando una volta di più la crisi politica del sistema.