la Repubblica, 10 giugno 2024
Valanga nera sull’Unione
BRUXELLES – Il sogno di un’Europa che vira a destra coltivato dai partiti conservatori e in Italia vagheggiato da Fratelli d’Italia è svanito nelle urne. Indubbiamente il fronte reazionario e anti-europeista è cresciuto ma non abbastanza da modificare gli equilibri delle Istituzioni comunitarie, a cominciare dalla presidenza della Commissione.
La maggioranza parlamentare che eleggerà il vertice dell’esecutivo Ue, infatti, si baserà ancora sull’alleanza tradizionale di Bruxelles: Ppe (Popolari), Pse (Socialisti) e Renew (Liberali). Che si confermano i tre gruppi principali dell’Eurocamera. I Popolari conseguono una vittoria netta aumentando di una decina seggi la loro rappresentanza. I socialisti scendono di poco, perdono cinque deputati. Mentre i liberali del Presidente francese Macron arretrano sensibilmente di una ventina.
Ma complessivamente resta il blocco imprescindibile. E anche per questo Ursula von der Leyen può mettere sul tavolo nuove carte per conquistare un nuovo mandato. Ed è stata lei stessa ad annunciare che intende lavorare proprio per confermare la maggioranza uscente con Socialisti e Liberali. E quindi nessuna apertura o concessione ai Conservatori guidati da Giorgia Meloni.
Del resto i risultati elettorali non offrono alcuna possibilità numerica ad una alleanza diversa. Il Ppe ottiene 189 seggi, S&D (Pse) 135 e Renew 83. Insieme raggiungono quota 407 e la maggioranza richiesta è di 361. Vista la tradizionale ampia volatilità dei voti a Strasburgo, chiunque vorrà essere eletto dovrà comunque allargare questa coalizione e la sponda cui dovrà rivolgersi è soprattutto quella dei Verdi che, pur in calo, eleggono 53 deputati.
L’Ecr di Meloni, quarto gruppo, invece sale ma di poco: da 69 a 72. Identità&Democrazia, l’estrema destra di cui fa parte la Lega di Salvini, balza da 49 a 58. Ma appunto si tratta di cifre che non modificano gli equilibri consolidati, almeno a livello europeo. È vero che rispetto alla scorsa legislatura la percentuale di eurodeputati “non iscritti” a gruppi o “altri” è cresciuta esponenzialmente (quasi 100) e ha al suo interno componenti di destra come il partito Fidesz dell’ungherese Orbán. Ma resta il fatto che non ci sono le condizioni per una maggioranzadiversa. «Siamo l’ancora della stabilità – ha detto ieri notte von der Leyen ribadendo la sua candidatura alla Commissione –. Con la vittoria del Ppe resta una maggioranza europeista. Abbiamo intenzione di dare stabilità e rafforzare il progetto europeo. Per questo mi rivolgerò ai Socialisti democratici e ai liberali con cui abbiamo avuto un rapporto costruttivo». Secondo la presidente uscente della Commissione, è indispensabile continuare su questa strada per impedire di distruggere l’Europa. La maggioranza vuole un’Unione forte». Quindi nessun cenno alle destre. L’idea che si creasse un nuovo fronte centrato su Ppe e Ecr è sostanzialmente fallita. Una prospettiva smentita anche dal presidente del Ppe, Manfred Weber, che ha lanciato una sorta di appello agli alleati tradizionali.
E come ha ripetuto lo “Spitzenkandidat” socialista, il lussemburghese Nicolas Schmit, «non accetteremo di collaborare con nessun partito di destra». Una linea su cui si ritrova anche Renew.
Anzi, sia il Pse che i liberali hanno chiaramente fatto capire ai popolari che l’unica chance di ampliare il perimetro della maggioranza per avere certezza dell’elezionequando il candidato designato dal Consiglio europeo si presenterà in Parlamento, risiede solo nei Verdi. Non è un caso che il vertice della formazione ambientalista abbia già dichiarato la disponibilità «a tenere fuori le destre» ma ad una condizione: «Difendere il Green Deal». Non c’è dubbio, però, che il voto stia provocando conseguenze a livello nazionale. Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha dovuto ammettere la sconfitta e ha convocato le elezioni anticipate. Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, scavalcato dai neonazisti di Afd è ancora più in difficoltà.
Quali saranno le conseguenze di queste crisi politiche sulle scelte europee? È tutto da verificare. Indubbiamente il Pse in questo momento spinge per un’intesa rapida con i popolari, anche sul nome di von der Leyen, per avere in cambio la presidenza del Consiglio europeo. Il nome preferito dai socialisti sarebbe quello del portoghese Costa. La sinistra del resto in Portogallo si è confermata al primo posto.
Ma per il via libera alla presidente uscente bisogna capire se l’Eliseo non preferisca aspettare l’esito delle elezioni nazionali prima di esprimersi. E se non ritenga la stessa von der Leyen una delle responsabili della affermazione di Le Pen in Francia. Ma soprattutto bisognerà capire se il dialogo con i Verdi andrà avanti. Senza un’intesa con gli ambientalisti e senza un’esplicita dichiarazione di contrarietà a tutte le destre da parte della candidata a palazzo Berlaymont, allora tutto si potrebbe rimettere in gioco. Anche se la debolezza di Francia e Germania è una assoluta novità con cui tutti dovranno fare i conti in Europa.