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 2024  giugno 09 Domenica calendario

Pinocchio, il testo più tradotto della letteratura italiana

Le avventure di Pinocchio, di Carlo Collodi (pseudonimo di Carlo Lorenzin (1826-1890), sono di gran lunga il testo più tradotto della letteratura italiana. L’autore fiorentino non ebbe il tempo di constatare l’enorme portata del suo successo, perché morì improvvisamente, forse a causa di un aneurisma, ad appena 64 anni. Le avventure di Pinocchio erano uscite, raccolte in volume, soltanto nel 1883. Benedetto Croce vedeva, nelle peripezie di quel burattino intagliato nel legno, una metafora dell’umanità. Ma comunque lo si interpreti, questo personaggio è diventato parte della cultura popolare di massa, del patrimonio dell’umanità (anche senza un intervento dell’Unesco), ha ispirato film, opere d’arte, persino oggetti di design. Il naso che si allunga come sintomo di una bugia è ormai entrato tra i luoghi comuni, spesso associati a politici troppo inclini a promesse irrealizzabili. Una fortuna che dovrebbe renderci orgogliosi, e anche farci riflettere. E che viene ora celebrata da una ponderosa quanto straordinaria monografia edita da Treccani, Atlante Pinocchio, dedicata proprio, come recita il sottotitolo, alla diffusione del romanzo di Carlo Collodi nel mondo.
Quante sono le copie vendute? E quante le traduzioni? Il libro dell’Istituto della Enciclopedia Italiana cerca di dare una risposta a queste e altre domande, esplorando i luoghi in cui Pinocchio ha fatto breccia, fondendosi con elementi diversi della cultura locale. Un esempio, tra tanti: la traduzione iraniana ricorre a uno scarafaggio parlante, anziché al grillo della tradizione, perché molto più comune nelle case di Teheran.
LA DIFFUSIONE
Soltanto in Italia, nel 1907, il libro era arrivato a una tiratura di cinquecentomila copie. Diventeranno un milione nel 1921 e sei nel 1951. Gianni Rodari scrisse che, al suo apparire, era un «capolavoro inesistente», perché al tempo moltissimi italiani non sapevano né leggere né scrivere. Ma la strada era tracciata. Nel 1891, subito dopo la morte di Collodi, esce a Londra Story of a Puppet or the Adventures of Pinocchio, prima, storica traduzione di Mary Alice Murray, che ne decretò il successo nel mondo anglosassone. Nel 1898 uscì anche un curioso mix, Pinocchio’s Adventures in Wonderland, che lega per motivi di marketing la storia di Collodi al capolavoro di Lewis Carroll. Nel 1902 esce la traduzione francese, e poi in svedese (1904), Russia (1906), Brasile (1911), Spagna (1912), Germania (1913), Giappone (1920), Egitto (1949), Israele (1955). Nel 1940 esce il film Disney; nel 2022 la variante live-action, di Robert Zemeckis.
Paolo Lorenzini (1876-1958) che poteva vantarsi di avere avuto lo scrittore come zio, si firmava Collodi Nipote. In Collodi e Pinocchio (1954), ricorda quando nel 1940 il libro cadde di dominio pubblico, provocando una moltiplicazione delle edizioni e delle traduzioni – «duecentoventi idiomi diversi, compreso il giapponese, l’amarico e l’ebraico». Lorenzini paragona la diffusione di Pinocchio con quella della Bibbia, parimenti diffusa nel mondo: «Povero zio mio! Non si sarebbe immaginato davvero che la sua bambinata venisse presa tanto sul serio!»
IL NOBEL
Nel 2012 anche il premio Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa ha riflettuto sul valore di Pinocchio, «uno di quegli esseri fabbricati dalla fantasia letteraria che sono riusciti a infrangere le barriere spazio-temporali, e a conservarsi freschi e rigogliosi con il passare degli anni».
Giovanni Capecchi (Università per Stranieri di Perugia), direttore dell’opera, nota che si potrebbe anche compilare un altro Atlante, soltanto per le traduzioni nei vari dialetti italiani: «In arsan, dialetto reggino, esce nel 1952, in milanese nel 1955; segue poi una lunga sequela di altre versioni in dialetto (integrali, parziali, in versi), tra il siciliano Pupu di lignu (1969) e il triestino Pinuci (2001)». E poi tanti sotto-dialetti, dal ponziano (di Ponza) all’ampezzano (di Cortina), dal bustocco (di Busto Arsizio) al cimbro, fino a quattro varietà di ladino.
Massimo Bray, nell’introduzione, spiega che questo progetto voluto da istituzioni come l’Università per Stranieri di Perugia, la Fondazione Nazionale Carlo Collodi, la Fondazione Caript, la Fondazione Uniser di Pistoia, sostenuto dal Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, «ha l’impostazione e l’ambizione di un vero e proprio Atlante in grado di attraversare e unire territori lontani». Un viaggio diviso in 96 saggi e frutto del lavoro di 140 autori, in un pianeta senza più confini. Un lavoro dal valore inestimabile perché, come scriveva Italo Calvino, «non ci si immagina un mondo senza Pinocchio».