il Giornale, 9 giugno 2024
Una società di anziani in cui per la prima volta convivono 5 generazioni: bisnonni, nonni, genitori, figli e nipoti. Le ricette «tech» nel mondo che verrà
Mettiamola così. Non è una novità che l’Italia sia un paese per vecchi. È il secondo paese al mondo per longevità (dopo il Giappone), il più anziano di tutta Europa, con il record in negativo delle nascite e, ora, alle prese anche con la fuga dei giovani. È un cambiamento «strutturale» di cui ci siamo accorti troppo tardi: abbiamo fatto talmente fatica a capirlo che non avevamo neanche una parola per definirlo. C’è voluto Alessandro Rosina, ordinario di Demografia all’Università Cattolica di Milano ormai nel 2008 a coniare il neologismo «de-giovanimento». Quello che, invece, è del tutto nuovo è che questo potrebbe portarci ad essere pionieri mondiali. Primo, perché «primato per longevità» significa che «sappiamo» (per lo più inconsciamente) come vivere a lungo. Ma soprattutto perché il come sapremo (o non sapremo) gestire il fenomeno, non solo disegnerà il Paese che stiamo diventando, e di cui abbiamo ancora scarsa consapevolezza, ma farà (anzi, già lo sta facendo) scuola anche per gli altri paesi del mondo.
Parte da questo scenario il libro bianco dal titolo «Una società per tutte le età» appena pubblicato da Fondazione Bassetti, insieme a Fondazione Ravasi Garzanti e MEET Digital Culture. Fondazione Bassetti, attiva dal ’94 con la specifica mission di promuovere la responsabilità nell’innovazione, ha scelto di affrontare il tema della vecchiaia guardando al rapporto tra generazioni e innovazioni: a come cioè il fenomeno demografico (longevità e de-giovanimento) e quello innovativo (neuroscienze, robotica, intelligenza artificiale) possano intrecciarsi per creare una «Società per tutte le età», cioè che non lascia fuori nessuno. I tre enti con i loro obiettivi statutari coprono infatti il ventaglio di problemi sollevati dal paper: oltre a Fondazione Bassetti), c’è chi si occupa di benessere degli anziani (Fondazione Ravasi Garzanti) e chi ha portato a Milano un polo internazionale per la cultura popolare (MEET).
«Ci stiamo rendendo conto adesso di quanto sia importante il rapporto tra demografia e innovazione. E noi in Italia forse possiamo dire di essere all’avanguardia perché stiamo sperimentando prima di altri l’inverno demografico – racconta Francesco Samoré direttore della Fondazione Bassetti – Con un ulteriore vantaggio che sta in una caratteristica peculiare dell’Italia: abbiamo comunità tendenzialmente più coese rispetto ad altri Paesi, in termini di welfare». Se adesso è tutto un parlare di transizioni, per Samorè bisogna indossare le lenti di quella demografica per poi guardare tutto il resto. «Non si può più considerare solo quella digitale che invece impone di occuparsi dell’invecchiamento in modo nuovo, e studiando soluzioni che tengano insieme tutte le generazioni».
Sembra teoria, invece è tutto molto pratico. Sembra futuro. E invece è già presente. Due dati, per capire: per la prima volta nella storia dell’umanità, sono ben cinque le generazioni che si trovano a convivere contemporaneamente. Bisnonni (peraltro sempre arzillissimi), nonni, genitori, figli e nipoti che si muovono sul palcoscenico di una società nuova con dinamiche stravolte, se non totalmente ribaltate e proporzioni del tutto cambiate. A metà del Novecento il pianeta era popolato da due miliardi di persone. Oggi siamo quasi nove miliardi. Ma, l’Europa del 1970 «conteneva» un sesto della popolazione mondiale, quella di oggi un sedicesimo. Tutti, ancora prima di nascere (vedi i libro «Figli dell’algoritmo. Sorvegliati, tracciati, profilati fin dalla nascita» di Veronica Barassi) e fin dopo la nostra morte siamo immersi, contaminati, indicizzati, anche aiutati da una tecnologia sempre più intelligente e invadente che accompagna ogni fase della nostra vita. Ma rischia di tagliare una, anzi «la» fetta sempre più ampia della società. L’italiano medio nel 2050 non avrà più 55 anni ma 75. E se il Congresso della Società italiana di gerontologia ha stabilito che ora si è anziani non più a 65 anni ma a 75, oggi «solo una persona su 4 tra i 65 e i 74 anni possiede competenze digitali di base, il che rappresenta un ostacolo all’accesso dei servizi di base», si legge nel white paper.
La sfida non è da poco. «Un mobilità intelligente, una casa intelligente, una smart city per un quarantenne sono un immediato miglioramento della qualità della vita ma rischiano di tenere ai margini chi non è più giovane», fa notare Samoré. Ecco perché le nuove frontiere degli studi non possono più parlare solo di longevità. Fin dai primi capitoli il white paper offre gli strumenti progettuali per agire con responsabilità nelle innovazioni sensibili, sia che si parli salute, di ricerca sul rallentamento dell’invecchiamento, che di un ridisegno di territori e contesto sociale. Inevitabile, spiegano, l’esigenza di trattare tutte le generazioni insieme. «Inclusività» oggi è anche questo: non escludere vecchi e bambini per annullare il divario generazionale altrimenti in agguato. Declinato in vari modi. Per i più piccoli, ad esempio, l’algoritmo pone già al momento della nascita un problema di nuovi diritti, come la cittadinanza digitale. Talvolta precedente a tutto il resto. «L’interesse oggi quindi non è discutere di innovazione come mero fatto tecnologico ma come il mondo dei poteri si allinea a quello dei saperi. Cioè, a quale «sapere» andranno i poteri?» è la domanda» che rilancia Samorè. Secondo le proiezioni di Global market insight il mercato dei robot per l’assistenza sanitaria dopo aver toccato i 514 milioni di dollari nel 2022 sarà di 3,2 miliardi nel 2032. In Giappone sono già attivi. Negli Usa hanno testato il primo anno di convivenza tra il robot ElliQ e 800 anziani dello Stato di New York. Risultato: ridotta del 95% la sensazione di solitudine e sono state misurate più di 30 interazioni al giorno. Insomma piace, ElliQ che è empatico, progettato per essere proattivo, avvia conversazioni, suggerisce attività senza bisogno di ricevere istruzioni. Non ha neanche una forma «umanoide» come quelli già presenti in Giappone Pepper dal 2014, o Aibo e Paro due robot sociali dalle forme di cucciolo animale, cane e foca. In Italia a maggio è stata presentata la prima piattaforma digitale e fisica che raccoglie una community di cittadini di tutte le età – specie anziani- con l’obiettivo di rimettere in circolo la loro esperienza a vantaggio della ricerca e dell’innovazione sociale. Si chiama Voice (dietro c’è la Fondazione Ravasi) e mette in rete chi si iscrive per partecipare a discussioni, sondaggi, workshop su servizi e prodotti proposti da università e centri di ricerca sviluppare soluzioni innovative per vivere meglio e più a lungo. Qui non si tratta più di avere a che fare con lo «spid», o la «pec». Ma con la «roboetica» e il «transumanesimo» di chi pensa che la condizione umana sia solo l’inizio di un viaggio che tecnologie come l’ingegneria genetica, le cellule staminali, cibernetica e nanotecnologie condurranno oltre i nostri attuali limiti umani. Secondo lui infatti il genere umano ha maggiori possibilità di sopravvivere se comprenderà e utilizzerà la tecnologia piuttosto che vietarla.
D’altronde non è lontano il tempo in cui le bacheche digitali saranno popolate più da morti che da vivi. E molto prima di quanto pensiamo saremo costretti a dare indicazioni per il nostro testamento digitale su cosa fare dei nostri dati quando non ci saremo più. Che sopravvivono alla persona fisica, perché l’intelligenza artificiale ha già sfiorato anche l’immortalità.