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 2024  giugno 09 Domenica calendario

La doppia esultanza di Netanyahu. Così (per ora) salva la poltrona

Quando in radio ha sentito gli agenti dello Shin Bet pronunciare la fatidica frase in codice – «il diamante è nelle nostre mani!» —, Bibi Netanyahu dice d’essersi emozionato. «Un’operazione eroica», la definisce il premier israeliano, tutta «creatività e coraggio», perché «questi prigionieri sono l’oro e i diamanti che desideriamo restituire». Diamanti di sangue: per liberare i quattro ostaggi del rave party, sul campo profughi di Nuseirat s’è scatenata la più feroce battaglia di questi otto mesi di guerra e secondo Hamas, che evidentemente usava i gazawi come scudo umano dei tunnel, l’azione dei corpi speciali Yaman è costata 210 morti palestinesi, bambini compresi. C’è da gioire per le quattro vite salvate, e poco altro. C’è da chiedersi quante vite politiche abbia Bibi: nelle stesse ore del blitz, il suo alleato-rivale Benny Gantz si stava schiarendo la voce per annunciare l’uscita dal governo, «in assenza d’un piano post-bellico»; gli americani facevano uscire un rapporto Cia che accusava Netanyahu di non avere strategie per il dopoguerra, se non la personale sopravvivenza; il 62% degli israeliani dichiarava in un sondaggio di non volerlo più al comando, mentre il 75% lo giudicava pessimo sulla questione ostaggi.
Rieccolo, invece. Nei suoi panni preferiti di Mister Security. O del Bibi-sitter che sa come calmare un Paese che urla. Con Gantz costretto last minute a sfogliare la margherita, resto-o-non-resto, nella sala vuota di Ramat Gan affittata per la conferenza stampa d’addio poi annullata (Netanyahu gli ha chiesto di restare: «Questo è il momento dell’unità, non della divisione»). Con gli americani che non potevano non dare supporto (anche militare) al salvataggio dei quattro e intanto ammoniscono: ora avanti con l’accordo sulla tregua. Col popolo del sabato che per una volta, dopo mesi, può asciugarsi le lacrime di rabbia e abbandonarsi alla commozione. «Non ci fermeremo – promette il premier, uscendo dall’incontro in ospedale con Noa Argamani – e in un modo o nell’altro riporteremo a casa tutti». Solo una settimana fa, in un video, la prigioniera Noa rinfacciava a Bibi d’averla dimenticata e implorava le piazze di Tel Aviv di riempirsi per contestare il governo. «Noi non abbiamo rinunciato a voi nemmeno per un momento – ha ora facile risposta il premier —. Non so se voi ci avete creduto, ma noi sì». L’ultimo dossier dei servizi israeliani ritiene morti 42 dei 124 rimasti nelle mani dei terroristi. Una ventina è considerata «di maggiore preoccupazione», per salute o altre ragioni. I quattro di ieri appartengono ai sessanta che, scriveva venerdì Ma’ariv, Hamas non ha «intenzione, interesse, motivo di rilasciare». Quattro ostaggi destinati a una lunga prigionia – se non peggio, come gli altri 4 dichiarati morti cinque giorni fa – e che bisognava liberare al più presto. «Siamo in grado di muovere la lancetta dei minuti, ma non quella delle ore», rivela una fonte militare all’editorialista Nahum Barnea, e figurarsi se esiste un piano sul dopoguerra quando ancora non si sa come andrà a finire. La débâcle del 7 ottobre ha insegnato agl’israeliani a non sottovalutare: giovedì scorso, per la prima volta dal massacro nei kibbutz, Hamas ha provato a infiltrarsi in Israele, segno che i droni non ne hanno fiaccato la forza militare. Diverso il discorso per la capacità politica: il piano di tregua proposto dagli Usa ha messo i capi islamici in chiara difficoltà, qatarini ed egiziani premono perché l’accettino – pena lo sfratto dai lussi di Doha —, e a Gaza sanno che un rifiuto darebbe a Bibi semaforo verde per altre mattanze. Da domani è in arrivo il segretario americano Antony Blinken, l’ottava missione in 8 mesi. Pensava di trovare un Netanyahu azzoppato dalle dimissioni nel Palazzo e dagli insuccessi sul campo. Invece la musica non è finita, gli amici (americani) non se ne vanno. E il chitarrista Blinken, suo malgrado, deve esibirsi ancora con la Bibi Band e provare nuovi accordi.
L’inconto con Noa
Il premier all’uscita dell’ospedale dove ha incontrato Noa: «Non ci fermeremo»