Corriere della Sera, 9 giugno 2024
Lo sport nazionale di «incolpare gli altri»
Jannik Sinner ha perso contro Carlos Alcaraz: è umano. Se avesse vinto, avremmo dovuto difenderlo dalla tracimante sinnermania, dagli apologeti entusiasti, dai panegiristi, dai tennisti neofiti. L’aspetto più curioso è che nelle esaltazioni di Sinner si mettono in luce ora la sua italianità ora la sua anti-italianità (così lontano dagli stereotipi che ci tratteggiano), ora la sua italianità stran(ier)a ora la sua italianità diversamente tale. In questa ricerca di cliché per il certificato di nascita, alle volte basta un piccolo episodio per rivelare il carattere identitario.
Nella partita del Roland Garros contro Gasquet, Jannik è stato danneggiato da un raccattapalle distratto. In quei momenti di tensione, chiunque altro avrebbe inveito contro il ragazzo. Sinner no: ha ripetuto il colpo, senza recriminare. Sinner è esemplare per il talento, la determinazione e l’impegno ma ha una dote che vorremmo vedere anche in chi ci amministra, in chi siede al governo, in molti «italiani veri»: non si lagna mai, non umilia gli avversari, soprattutto non dà mai la colpa agli altri.
Nella lingua italiana ci sono espressioni che si sentono raramente. La più rara di tutte è: «È colpa mia». Incolpando gli altri, si sta sempre dalla parte della ragione. Incolpando gli altri, si diventa vittima. Incolpando gli altri, si fa politica.