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 2024  giugno 09 Domenica calendario

Intervista a Paola Tedesco

“Da qualche anno vivo al lago”.
Che bello.
Lo detesto, è melmoso.
Intorno c’è la natura…
Sono circondata da migliaia di ulivi.
Bellissimo.
Non ne posso più.
Sta uccidendo un paradiso.
Paradiso? È pieno di cacciatori.
Meglio il cinema? Sono 60 anni dal suo esordio.
(Pausa, ci pensa, quasi stupita) Ah, è vero, con Pasolini.
Il Vangelo secondo Matteo, film iconico.
Il più bello su Cristo; comunque sono presente in due pose, interpretavo Salomè, a quel tempo ero secca allampanata; il protagonista, con quei capelli neri, era un figo assoluto; (pausa) peccato, ero troppo piccola, altrimenti ci avrei sicuro provato.
(Dissacrante, ironica, con in corpo un vaccino tutto per salvarsi da divismo, egocentrismo, narcisismo e ogni “ismo” che sottintende uno specchio della mia brame. Eppure Paola Tedesco ha vissuto anni con il riflettore a illuminarla: dal cinema alle commedie del Sistina fino alle copertine dei settimanali, “Playman” e “Playboy” comprese, ma “nuda non stavo proprio a mio agio”. Da dodici anni ha spento ogni “riflettore” e ogni suo riflesso “ed è stata una mia scelta”).
Sul grande schermo come ci è arrivata?
A otto anni ho iniziato a studiare danza classica al Teatro dell’Opera di Roma…
Un luogo sacro.
In realtà da lì non è uscito nessuno di importante.
E anche il Teatro dell’Opera l’abbiamo sistemato...
(Ride) Mia madre lavorava nel cinema e un suo amico mi segnalò a Pasolini; nonostante le reticenze di mamma, lo stesso Pasolini venne a trovarmi a scuola: ci misero tutte in fila come davanti un plotone d’esecuzione.
E lei?
Non sapevo nulla; poco dopo Pasolini mi indicò.
Intimorita?
Da piccola ero una piccola dittatrice: picchiavo mio fratello grande (Maurizio Tedesco, produttore cinematografico), giocavo con i maschi; magari fossi rimasta così.
Crescendo ci si rovina.
Mi sono imbonita.
Insomma, il set.
D’istinto Pasolini mi piaceva: era gentile, affabile, coinvolgente; ero abituata con i modi della direttrice del Teatro dell’Opera, una fascistona despota; una donna che mi ha rovinata.
Il set le piacque?
Mi colpirono le pause, infinite: non ne potevo più.
Non è stata colta dal sacro fuoco…
Quello mai, amavo solo ballare. Però sono stata cacciata un mese prima del diploma perché con un’amica invece delle lezioni con un sostituto, avevo preferito assistere alle prove dei ballerini professionisti.
Male.
Quei professionisti erano Nureev, la Fracci, la Maksimova e suo marito Vladimir Vassiliev: roba da perdere la testa; (ci pensa ancora) Nureev era stupendo, con fascino e carisma incredibili.
Quando diventa attrice?
Con il teatro, non con il cinema.
Gli anni di Garinei, Giovannini e del Sistina…
(Cambia tono) In quel contesto ho conosciuto Enrico Vaime e l’ho concupito; insieme a Italo Terzoli hanno composto una coppia fenomenale: con loro sono arrivata alle lacrime per le risate e non sono mai stata una che ride facilmente…
Vaime battutista raro.
In realtà Enrico era una persona molto chiusa, riservata, usava le battute per nasconderlo; (cambia discorso) a quel tempo le tournée duravano 18 mesi: una fatica totale.
Per il palco?
No, perché si guidava sempre per cambiare città.
Non c’era l’autista?
Macché! Si viveva a ciclo continuo: magari si percorrevano 500 chilometri, ti sistemavi in albergo, quindi a teatro, lo spettacolo, la cena fino alle tre di notte; di nuovo albergo e poi altri chilometri.
E lei guidava.
Non mi fidavo degli altri; spesso mi mollavano Franca Valeri, donna di una tirchieria assoluta.
Dolore.
Prendevo sessantamila lire lorde al giorno con le quali dovevo pagarmi da mangiare, l’albergo, il viaggio, il ristorante e pure l’affitto di casa a Roma; per fortuna mangiavo una volta al giorno.
Altro dolore.
Il problema è che all’epoca mi ero concessa una Jaguar usatissima, con due serbatoi. Consumava in maniera infinita.
Quindi la Valeri.
Non ha mai pagato neanche un casello o un caffè; io esagerata andavo negli stessi alberghi di Gino Bramieri (protagonista della tournée): dei bei quattro stelle; (sorride) la Valeri acquistava una bustina di prosciutto e dormiva nella pensioncina.
Torniamo al cinema: uno dei suoi film le è piaciuto?
(Ci pensa) Neanche uno.
Nemmeno un poliziottesco?
Purtroppo sono capitata negli anni 70, dove c’erano le commedie sexy, la mafia, Franco e Ciccio.
E lei?
Accettavo perché dovevo pagare l’affitto, ma sono un film peggio dell’altro.
Homo eroticus con Buzzanca?
Ma per carità!
Smontiamo tutto.
Sceneggiature assurde; con Lando ho partecipato anche a Il malato immaginario in teatro.
Seduttore.
Era esattamente come il personaggio dei suoi film; (ride) e poi era superdotato e lo mostrava continuamente.
Come lo mostrava?
Indossava pantaloni attillati per mostrare la dotazione.
Si è mai innamorata sul set?
A parte Vaime? Ci devo pensare (silenzio, a lungo). Di Paolo Malco: ci siamo conosciuti sul set di un film prodotto dall’uomo di mia madre (Il gatto dagli occhi di giada), con mia madre che quando lo ha capito, o scoperto, si è disperata.
Sui set si crea una vita alternativa…
Nei momenti di pausa ho sempre preferito stare con i tecnici rispetto agli attori.
Perché?
Li trovavo più veri, più simpatici e poi sono i soli a farsi veramente il culo.
La retorica del set, della famiglia, non l’ha mai convinta?
Solo all’inizio, poi ho capito che quei rapporti durano il tempo delle riprese.
Ha posato per Playboy
Anche in quel caso mi hanno fregato: non ho beccato una lira; a quel punto ho subito replicato con Playmen: dovevo pagare l’affitto; non stavo proprio a mio agio, non è come andare dal dentista…
Certo, pure il dentista.
Eh, bella gara.
Qualche sua foto l’ha tenuta.
Ci ho pensato prima di questa intervista: le dovrei cercare; lo so, sono un po’ anomala.
Sempre l’affitto. Ma una casa l’ha comprata?
Non mi è mai interessato: ho mangiato tutto.
Rimpianti?
Nessuno; l’unico è legato alla scuola di ballo. Ancora maledico la direttrice.
In teatro ha lavorato con Satta Flores.
Uno dei pochi attori generosi; per lui ho recitato in due commedie; nella seconda, una sera, Angela Pagano mi ferma e con una tono secco mi domanda: “Lo hai ringraziato Stefano?”. “Di cosa?”. “È un mese che ti dà il primo camerino”. “Oddio, non me ne sono accorta”. “Ma dove vivi!”. Il primo camerino non lo dà nessuno, è un gesto raro nella liturgia teatrante.
Satta Flores è uno dei più dimenticati.
Era un attore un po’ di nicchia; dopo C’eravamo tanto amati doveva partire un altro tipo di carriera, ma caratterialmente era fuori da ogni logica meramente professionale.
Ne parlavate?
No, assolutamente; era generoso in ogni situazione, anche in scena non viveva di gelosie e cercava di farti uscire bene; era felice se prendevi un applauso o una risata.
Mentre di solito…
Gli artisti, specialmente i comici, lottano sui millimetri.
Esempio.
In una delle commedie del Sistina ero sola con Gino Bramieri; Gino era il protagonista assoluto; dopo un po’ di repliche ho scoperto i tempi giusti per strappare una risata, e dico una. La sera a cena, serio, mi fa: “Potresti evitarla?”.
E lei?
No!
Gli attori comici uccidono per una risata.
Per Franca Valeri Vaime e Terzoli avevano scritto un ruolo pazzesco (in Anche i bancari hanno un’anima): ogni frase era una battuta; ogni frase una risata e un applauso. Bramieri impazziva. E infatti in tutta la tournée non sono mai andati a cena insieme; (ride) nella mia seconda tournée con Gino, quella insieme a un cagnone grande, simpaticissimo, Bramieri rosicava pure quando il pubblico applaudiva il cane.
Frustrazione totale.
Gino era buono, carino, ma come tutti i comici viveva l’angoscia di far ridere.
Anche Gigi Proietti era cosi?
Fermi tutti. Con lui ho recitato ne La pulce nell’orecchio ed era di un altro livello: sapeva fare tutto, da Shakespeare alla parodia di Shakespeare stesso e in maniera straordinaria con una capacità non comune di insegnare, guidare, rassicurare l’attore; non esisterà mai nessuno del suo livello.
Lei prima del sipario.
Angosciata.
Sempre?
Per forza, altrimenti questo lavoro non si può fare; ma la tensione durava un attimo lunghissimo, poi all’improvviso finiva ed ero pronta, anche ad aiutare qualche collega.
In che senso?
Per i vuoti di memoria; una volta Buzzanca è entrato in scena, buio totale, ed è entrato nel panico: non ha parlato. Immobile. A quel punto ho rotto l’incantesimo con una battuta; l’unico problema era se iniziavo a ridere: non sapevo come fermarmi.
È successo in molte occasioni?
(Ride a sua volta) È la situazione più bella del mondo.
Cioè?
Per La pulce nell’orecchio avevo una battuta finale, e proprio a Roma concludo nel modo più sbagliato: “Ah meno male, pensavo di avere una pulce nella recchia”. E dico “recchia” vestita come una dama dell’800. Appena me ne rendo conto sbotto, tutta la compagnia piegata in due, il pubblico impazzito. È finita così…
Le manca il palco?
Ho chiuso per scelta, ma senza il teatro la vita è piatta; sul palco ero tiratissima, concentrata, avvolta dalla giusta adrenalina; una volta finito lo spettacolo entravo nel camerino e neanche avevo la forza o la voglia di chiudere la porta: mi afflosciavo vinta da una tristezza infinita. Tutto ciò mi manca.
Con lei gli uomini come si sono comportati?
Ci hanno provato in tanti, ma è normale.
Cosa è normale?
Ho vissuto quasi tutta la mia vita da sola, sempre in tournée o sul set. Una storia d’amore era impossibile tenerla in piedi.
E non ha comprato una casa…
Me so’ magnata tutto: ho viaggiato e visto posti meravigliosi, ho fatto regali pazzeschi ai miei uomini. E non sono stati pochi.
Si è mai veramente innamorata?
Sì, ma pochissime volte; sicuramente i primi tempi con Vaime.
Lei chi è?
Credo la persona più buona, pura e generosa che abbia mai conosciuto; poi sono anche di una pigrizia che fa schifo e non ho voglia di fare nulla.