la Repubblica, 9 giugno 2024
Meloni al seggio non nasconde l’insofferenza per le uscite di Salvini e si prepara alla prova del dopo voto, tra difficili equilibri europei e il rischio rottura sui dossier più delicati
ROMA – L’ultimo travaso di bile agli alleati Matteo Salvini l’ha provocato nel primo pomeriggio di ieri: il nuovo insulto rivolto al presidente francese Emmanuel Macron, quel «bombarolo» vergato addirittura in una nota, infrange il silenzio elettorale e fa saltare l’intera architettura comunicativa di Giorgia Meloni, che per rispettare il ruolo di premier si era appena limitata a un appello anti-astensionismo fuori dal seggio, dopo la digressione dello spot con il fruttivendolo e le ciliegie «varietà Giorgia» postato un minuto primo della mezzanotte di venerdì.
Ore 15.30 viale Beata Vergine del Carmelo, scuola Vittorio Bachelet. La premier è appena andata via, avvolta nel suo tailleur rosa pallido, dopo aver sorriso davanti a fotografi e telecamere ed essersi scusata con le quattro scrutatrici (sì, tutte donne) per il trambusto causato: «Vi libererò. La prossima volta vi libererò», scherza. E il dubbio è se Meloni alluda al prossimo cambio di residenza o al fatto che alle prossime consultazioni – la tesi dei più maligni – non sarà più primo ministro. Lo staff della presidente rimane sul marciapiede, nella cappa d’afa del Mostacciano, quando sui telefonini rimbalza il comunicato di Salvini. C’è stupore, sbigottimento, la premier viene subito avvertita e pare non la prenda benissimo. Dopo lo spoglio, da giovedì, ci sarà il G7 e Meloni dovrà sedersi accanto all’inquilino dell’Eliseo offeso dal suo vicepremier. Non senza imbarazzo.
È lo strascico di una campagna segnata dalle divisioni. Aldi là del responso delle urne, la certezza è che questa competizione ha dimostrato plasticamente l’esistenza di due destre: quella di Meloni, che nell’ultimo anno aveva assunto un tono più istituzionale, e quella sboccata e nerissima di Roberto Vannacci, il generale che si ispira alla X Mas e urla «presente» dal palco, cui Salvini per salvare la sua segreteria ha appaltato la rappresentanza del partito. L’offensiva della Lega data in leasing a Vannacci ha trascinato Meloni su una campagna più aggressiva, segnata dal sarcasmo contro i telespettatori di La7, la parolaccia che ha oscurato Caivano, gli sbuffi sui migranti «poveri cristi». In mezzo, il mite Antonio Tajani che in ultimo ha perso la pazienza, litigando con il suo omologo Salvini che lo ha accusato di non fare gli interessi dell’Italia.
Sono le scorie che si porta appresso una coalizione di governo che in Europa fa capo a gruppi diversi. E si appresta a scelte difficili a Bruxelles, dove l’obiettivo di una maggioranza di centrodestra – visti i numeri – è solo di facciata: Tajani non può escludere alleanze con i socialisti, FdI non le considera ma alla fine sosterrà quasi sicuramente il presidente della commissione proposto dal Ppe, Salvini no.
Come rimettere a posto i cocci dopo il voto? Se non ci saranno sconquassi elettorali, se Meloni non andrà sotto il 26 per cento e FI non supererà la Lega, la premier potrebbe limitarsi a pochi ritocchi alla squadra di governo (c’è il caso Santanché da affrontare e il nodo del commissario europeo che potrebbe essere scelto fra i ministri), pur avendo chiesto al Quirinale delucidazioni sulla necessità di passare dal Parlamento in caso di rimpasto. Ma qualsiasi altra ipotesi renderebbe il futuro più complicato, a partire dalla gestione del dossier riforme, e gli assetti meno solidi. Sull’atteggiamento verso Kiev le distanze sono diventate marcate: Salvini ha detto che la Lega non voterà più un decreto per l’invio di armi «se queste saranno utilizzate in territorio russo». In più, lo sfegatato tifo per Trump da parte del capo leghista è un ulteriore problema nei rapporti internazionali di Palazzo Chigi, in attesa del test americano di novembre. «Per fortuna la campagna elettorale è finita», è il coro di ministri e maggiorenti del centrodestra. Ma il dopo voto, da vivere peraltro con l’urgenza di un piano di aggiustamento dei conti da presentare all’Ue entro settembre, potrebbe prolungare l’incubo.