la Repubblica, 9 giugno 2024
Da Scholz e Sánchez ultimatum a von der Leyen “Dica no a Meloni ed Ecr”. E lei apre ai Verdi
BRUXELLES – «Ora sta esagerando». A pronunciare nei giorni scorsi questa frase non è stato uno qualsiasi. Ma il Cancelliere tedesco Olaf Scholz. E la destinataria del messaggio è una sua connazionale, Ursula von der Leyen, la presidente uscente della Commissione europea candidata dal Ppe a un secondo mandato a Palazzo Berlaymont.L’oggetto di un vero e proprio ultimatum sono le aperture di Ursula alla destra di Giorgia Meloni. Ai Conservatori dell’Ecr e al partito italiano Fratelli d’Italia. Le parole pronunciate dalla presidente uscente dell’esecutivo europeo nell’ultimo confronto elettorale che si è svolto due settimane fa a Bruxelles, sono state le classiche gocce che fanno traboccare il vaso. E anche il Cancelliere tedesco che, per solidarietà nazionale, aveva evitato di mettere in difficoltà la compatriota, adesso ha perso la pazienza.Scholz, che è uno dei quattro capi di governo socialisti dell’Ue, nei giorni scorsi ha mandato un messaggio esplicito e diretto alla leader della Commissione: «O la smetti di dialogare con la Meloni e con l’Ecr, o per noi sei out. Non ti possiamo sostenere in ogni caso. Anche nel caso in cui ce ne fossero i presupposti».Un discorso concordato con il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez – anch’egli socialista – e con il presidente francese, Emmanuel Macron, che pur essendo liberale ha messo Ursula nel mirino ormai da diversi mesi. Un’indicazione avallata dal Pse che pure contava di scambiare con il Ppe l’assenso sul “top job” della Commissione in cambio della presidenza del Consiglio europeo.Insomma negli ultimissimi giorni si è ricreato un patto tra i principali Stati dell’Unione, ad eccezione del-l’Italia, per dare un secco altolà ad ogni ipotesi di coinvolgimento delledestre nella prossima maggioranza che nel Parlamento europeo dovrà eleggere i vertici della Commissione. Anche perché la posizione assunta dalla presidente del consiglio italiana non è stata per niente dialogante. L’obiettivo di formare una nuova coalizione senza il Pse ha mandato su tutte le furie Berlino e Madrid. Che ora vogliono fargliela pagare. E hanno iniziato mettendo alle strette von der Leyen.Il discorso è semplice: la/il nuova/ o presidente della Commissione non può pensare di appoggiarsi alla destra. Deve basare il suo consenso sull’attuale coalizione: Ppe-Pse-Renew. Semmai allargando il perimetro dei voti a favore ai Verdi. E non certo alla destra che non si è liberata del suo antieuropeismo e che al suo interno ha troppi partiti e esponenti accondiscendenti con la Russia. Un modo per dire che il feeling tra Meloni e Le Pen è ancora vibrante e che il governo italiano ha al suo interno una forza politica, la Lega diSalvini, dichiaratamente anti-Ue e filoputiniana.I Verdi, dunque, possono essere il tassello mancante nel mosaico della nuova maggioranza di Strasburgo. Tenendo peraltro presente che la “Spitzenkandidat” (la candidata alla Commissione) degli ambientalisti è un’altra tedesca, Terry Reintke (componente la coalizione che sostiene Scholz a Berlino), che proprio all’ultimo confronto elettorale tra gli “spitzen” ha sorpreso per incisività. I Verdi, secondo i sondaggi, caleranno un po’ per numero di seggi ma manterranno comunque una quota sufficiente a garantire una maggioranza in aula ben oltre i 360 voti richiesti.Non è un caso che nelle ultime ore Von der Leyen abbia iniziato ad invertire la rotta. In maniera informale ha fatto sapere di essere pronta ad aprire un canale di comunicazione proprio con il gruppo ecologista e a emarginare la destra estrema. Una prova di questo tipo è statagià tentata l’altro ieri. Il segnale è stato inviato a Berlino e a Madrid.Ma non basta. Scholz, Macron e Sanchez vogliono una dichiarazione esplicita e pubblica. Esattamente come lo sono state le aperture nei confronti di Giorgia Meloni. Altrimenti lunedì 17, giorno del summit informale dei leader europei che si terrà a Bruxelles, nemmeno si comincerà a parlare dell’ipotesi di confermare la presidente della Commissione uscente. E considerando che la candidatura al vertice di palazzo Berlaymont deve essere designata a maggioranza dal Consiglio europeo con un quorum di Paesi che rappresenti almeno il 65 per cento della popolazione Ue, senza Germania, Francia e Spagna i margini sono cancellati.Senza dubbio la forza di Von der Leyen è nel numero di capi di governo aderenti al Ppe, una dozzina. Ma potrebbero non bastare. Perchè l’unico Stato “grande” tra questi dodici è la Polonia di Donald Tusk. E come è accaduto cinque anni fa nessuno può scommettere che i Popolari decidano di ritirare la propria “Spitzenkandidat”. Nel 2019 ne fece le spese Manfered Weber, attuale presidente del Ppe, che ha ancora il dente avvelenato nei confronti della sua “collega” di partito. Anzi, il giudizio tra i popolari su Ursula non è certo compattamente positivo.Von der Leyen, dunque, deve abiurare o quasi le scelte compiute negli ultimi sei mesi a sostegno della sua “corsa”. Ma non è detto che basti. La sua esposizione verso la destra potrebbe non essere più reversibile e nella legislatura europea più delicata nella storia dell’Unione rischia di avere un peso determinante. Soprattutto se la contrapposizione con il Cremlino dovesse ulteriormente cadere sul crinale militare.