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 2024  giugno 09 Domenica calendario

Tennis, la nuova età dell’oro


La terra rossa del Roland Garros è stata storicamente la terra promessa per il tennis italiano. Nicola Pietrangeli vi ha vinto due volte (e altre due ha perso in finale), Adriano Panatta ha trionfato nell’anno d’oro 1976, quando poi vincemmo anche la Davis.
Tra le donne, ha sollevato il trofeo Francesca Schiavone, che ha perso un’altra finale come Sara Errani. E per finire con i podi tricolori, Pietrangeli e Sirola hanno conquistato il titolo del doppio maschile contro i fortissimi aussieEmerson-Fraser, dopo avere perso una precedente finale contro gli americani Seixas-Trabert.
Però mai come in quest’anno di grazia 2024 era successo che in tre delle cinque finali (c’è anche il doppio misto, specialità ormai contemplata soltanto nelle prove del Grande Slam e dalle Olimpiadi) ci fossero italiani.
E pazienza se non ci è arrivato Jannik Sinner, riconosciuto novello Mosè del popolo italiano della racchetta, che comunque ha perso in semifinale dopo che era stata perfino in dubbio la sua presenza a Parigi.
Anzi paradossalmente l’assenza di Sinner ha finito per esaltare le presenze altrui: la fantastica Jasmine Paolini in singolare, la magica accoppiata della veterana Errani e dellanew entry Paolini (interpreti di undoppio di rara intelligenza tattica, che sopperisce ai limiti fisici di entrambe), e infine Bolelli-Vavassori, altro mix di esperienza, Bolelli, e di tenace scalata di un provinciale, Vavassori (allenato dal padre, maestro del Tennis Club Pinerolo) alle vette del tennis mondiale.
Proprio su questo riflettevo giovedì scorso mentre mi spostavo dal Simonne Mathieu (uncourt fantastico, costruito nel mezzo di una serra), dove avevo visto Bolelli-Vavassori battere la coppia numero uno al mondo, al Philippe Chatrier, il “centralone” dove Jasmine Paolini avrebbe giocato la semifinale contro la teenager russa Andreeva. Sul fatto, cioè, che il grande successo del tennis italiano non è più frutto di risultati individuali, come era accaduto con Pietrangeli negli anni ’60, Panatta neglianni ’70 del secolo scorso, o Schiavone a cavallo tra la prima e la seconda decade di questo (e nel conto va messo anche Berrettini, primo e finora unico italiano finalista a Wimbledon).
Oggi, Sinner è la punta dell’iceberg. Perché l’Italia, nei primi cento giocatori al mondo, conta anche Musetti, Arnaldi, Sonego, Cobolli, Darderi, quattro dei quali under 23come Sinner: e questo spiega la vittoria in Coppa Davis dell’anno scorso, dopo quasi 50 anni di digiuno, che ha emozionato anche il presidente Mattarella. Tra le donne, oltre a Paolini, che da domani sarà numero 7 nella classifica Wta, vantiamo Trevisan, Cocciaretto, Bronzetti. Forse non è un caso, ma anche questo un effetto del movimento, che al vertice dell’Atp, l’associazione dei tennisti professionisti, ci siano due italiani, ilpresidente Andrea Gaudenzi e il Ceo Massimo Calvelli.
Mentre facevo questa riflessione, passeggiando in uno degli impianti più belli al mondo, ho provato anche a ricordare quali sono stati i grandi monopoli tennistici nella storia. Quello australiano, figlio del mitico capitano Harry Hopman, quello americano e, andando più indietro nella storia, quello francese dei celeberrimi Quattro Moschettieri (Lacoste, Borotra, Cochet e Brugnon). Ora – sono le statistiche che lo dicono – siamo entrati nell’era del monopolio italiano.
È un movimento partito dal basso che la Federazione di Angelo Binaghi ha avuto il merito di saper cogliere e sviluppare, superando la tradizionale contrapposizione pubblico-privato, anche grazie ad alcunicoach tanto intelligenti quanto modesti (da Santopadre a Vagnozzi, da Tartarini a Furlan, senza dimenticare Riccardo Piatti, che ha lanciato Sinner). Nell’anno delle Olimpiadi è una fondata speranza di medaglie. Il tennis si svolgerà al Roland Garros, la nostra terra promessa. E magari sarà l’occasione per vedere un doppio misto composto dal dream team Sinner e Paolini: il numero uno e la numero sette al mondo.