Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  giugno 09 Domenica calendario

Intervista a Enzo Paolo Turchi

Per milioni di italiani è “il ballerino di Raffaella Carrà”, il partner biondo del Tuca tuca: Enzo Paolo Turchi, classe 1949, danzatore e coreografo, è un pezzo di storia della tv. Simpatico e schietto, è orgogliosamente sentimentale: «Carmen (Russo) mi ha cambiato la vita», spiega «senza di lei e mia figlia Maria non posso stare, sono la mia famiglia». Cresciuto nella Napoli del dopoguerra, racconta l’infanzia da romanzo di Dickens con semplicità, e la consapevolezza di chi ce l’ha fatta. Il 16 agosto porta alla Versiliana il musical Flashdance, di cui cura la regia e le coreografie (produzione Luna di miele).
Viene da una famiglia di artisti?
«Diciamo di sì. Mio nonno era primo oboe al Teatro San Carlo di Napoli, l’altro nonno timpanista. Ho vissuto un’infanzia disastrata, la danza mi ha salvato la vita. In tempo di guerra due sorelline sono morte, uccise da un carro armato. Mia madre impazzì dal dolore, ma le dicevano: “Fai altri due figli, così dimentichi”. Così siamo nati io e mia sorella Lydia (prima ballerina anche lei e insegnante di danza, è stata la maestra di Lorella Cuccarini,ndr).Mio padre l’avrò visto tre volte.
Mia madre spariva per giorni e giorni, però ci iscrisse al San Carlo».
Le piaceva la danza?
«C’era il talento e anche l’amore per la vita, volevamo migliorare. Il treno passa una volta sola, però devi andare alla stazione».
Com’era Napoli?
«Bella. Le persone volevano crescere e ricostruire. Non avevamo niente, solo la voglia di sopravvivere. Il problema era il mangiare. A 8 anni facevo le pulizie in una bisca e prendevo 20 lire al giorno, servivano per comprare un panino. La povertà c’è anche oggi, ma non è drammatica come quella che ho vissuto io.
Eravamo tutti poveri, ci aiutava una persona. Non era un supereroe, non era Spiderman. Era una signora che faceva la prostituta e faceva la spesa per tutto il quartiere. Avrebbe meritato un premio. Con l’arrivo degli americani molte donne purtroppo si sono prostituite, il dopoguerra a Napoli è stato duro».
E il primo successo?
«Quando scendevo ai Quartieri Spagnoli ero una star grazie alle sigle dei programmi».
Come si rivede al San Carlo?
«La mia vera famiglia sono stati i ballerini più grandi, se stavo male mi curavano loro. Stavo per strada da solo, non lo dicevo, avevo paura.
Cercavo di far vedere che la mia era una famiglia normale e aspettavo qualcosa da chi aveva: anche un paio di scarpe usate. Una vergogna continua, ma piena di orgoglio».
Però fa carriera.
«A 17 anni ero primo ballerino.
Ricordo i viaggi a Rio dei Janeiro, a San Paolo del Brasile. Torno al San Carlo e c’era Gino Landi, doveva fare un’operetta. Mi scelse per Doppia coppia con Alighiero Noschese, Bice Valori e Paolo Panelli, Sylvie Vartan.
Poi mi chiama Raffaella, solo che dovevo partire per il servizio militare e rinuncio alla prima Canzonissima».
Ma è protagonista nel 1971.
«Grande successo, diventiamo una coppia televisiva, con un affetto da parte del pubblico… Divento famoso colTuca tuca, che fece scandalo.
Avevo vinto una borsa di studio al Bolshoi, non andai. Ma RudolfNureyev era amico mio, venne al San Carlo a fare Romeo e Giulietta e per la scena in cui muore mi scelse come controfigura. Anni dopo a Roma, mi chiamò per fare danza moderna. Era simpatico e un po’ misogino, alle donne chiedeva il segno zodiacale».
E invece com’era il suo rapporto con le donne?
«Avevo un certo successo. Venendo dalla scuola della strada capisci subito chi è più forte, e io ho capito subito che sono le donne. Altro che parità, i maschi sono più deboli».
Raffaella in cosa era diversa?
«Era speciale. Pensi il destino, ci eravamo conosciuti a Napoli. Lei aveva 17 anni, faceva la fatina, io cantavo nel coro. Da adulti abbiamo girato il mondo, mi ha insegnato la disciplina. Ero scapestrato, ho avutouna scuola che hanno avuto in pochi: quella della sopravvivenza».
Ha rischiato di finire male?
«La strada porta ad avere soldi facili, mi hanno proposto tante volte di fare il palo. C’era il contrabbando di sigarette, molto più pulito dello spaccio. Vivo con il terrore della droga, avendo una figlia. I giovani sono diventati merce per gli spacciatori, mi dispiace moltissimo vedere questi ragazzi che poi vanno pure loro a drogarsi».
È vero che Raffaella si arrabbiò quando lei si legò a Lola Falana?
«Non mi parlò più, ballavo più con Lola – restammo insieme un anno – che con lei. Ci lasciammo, ero andato a lavorare in Spagna. Un giorno Raffa mi chiama: “Sei cambiato?”. Tornai in Italia e ricominciammo a ballare».
I ricordi più belli?
«Passavamo le nottate a parlare di come costruire un nuovo spettacolo, eravamo fratelli. Quando facevamo le tournée non potevamo uscire, c’era l’assedio dei fan. Eravamo costretti a stare chiusi negli alberghi e nei camerini. E lì ho conosciuto la vera Raffaella, mi confidava i dubbi e le paure. Non dava l’amicizia a tutti: aveva capito che su 10 persone, 9 le stavano intorno perché era la Carrà».
Nel 1982 incontra Carmen Russo, ha capito subito: sarà per sempre?
«No. L’unica che lo disse fu Raffaella: “Finalmente hai trovato la ragazza giusta per te”. Stiamo insieme da 42 anni. In Carmen ho trovato quello che mi è mancato: l’amore come donna, la mamma che non ho avuto.
Mi ha dato la forza e alla fine mi ha dato Maria. È tutto per me».
Il 14 febbraio 2013 nasce Maria.
Come le ha cambiato la vita?
«Non mi ha cambiato la vita, mi ha dato la vita. Tutte le mattine con Carmen la accompagniamo a scuola.
Alle 6 inizia la giornata. Ho un’età ma sono un papà giocherellone».
Il rapporto con la televisione?
«È cambiato tutto. Ho partecipato la prima volta all’Isoladei famosi nel 2005, stavo morendo. Mi ricordano per le emorroidi. D’accordo nascondere i problemi, entrare nelle case con il sorriso. Ma nessuno sa quanto sono stato male».
Perché non si riesce più a fare un bel varietà?
«È cambiato il pubblico, il gusto, servono le idee. Con Fiorello alle 7 ha funzionato perché è geniale, e guardi che belle cose si è inventato Luca Tommassini. Il coreografo conta, una volta veniva dopo il regista».
Cosa la spaventa?
«La mancanza di rispetto tra gli esseri umani. Nessuno dice più: “Scusi”».