ItaliaOggi, 8 giugno 2024
Di Indro Montanelli non c’è proprio rimasto più nulla
Non sembra vero che i giornali, un tempo, sostenessero l’opinione di cui erano l’anima e la bandiera con gli strumenti della ratio: la sobrietà, l’ironia, il buon senso, il rispetto di grammatica e sintassi. Oggi possono sembrare favole, ma nella remota Prima repubblica, quando i lettori di giornali si contavano a milioni mentre qui dove siamo adesso è meglio sorvolare, era così che giravano le cose nelle redazioni, a cominciare dalla redazione del Giornale di Via Gaetano Negri, al Cordusio: una ciurma d’ammutinati in fuga dal Corriere alla cui testa c’era lui, Indro Montanelli, che fu una specie di John Long Silver, compresa (a pensarci) una specie di gamba di legno (nel suo caso una pallottola delle Bierre piantata nel femore che lo rese leggermente claudicante).
Erano anni difficili, o meglio spaventosi
Adesso, ridotto com’è il mondo, ne abbiamo nostalgia, e persino sospiriamo parlandone, ma erano anni difficili, o meglio spaventosi: gli anni della guerra fredda, del Vietnam e degli ayatollah, in Italia del pitrentottismo selvaggio e del neofascismo stragista, tenebrose metastasi delle idee pericolose del Novecento. Erano gli anni in cui un direttore del Corriere, Piero Ottone, oggi dimenticato, poteva scrivere in un editoriale del principale organo del moderatismo e del liberalismo italiano ch’era tempo di riconoscere che il marxleninismo aveva ormai «vinto su tutta la linea» (gli fece eco, dal Pci, il comunista Lucio Lombardo Radice dicendo che il marxismo era «l’orizzonte teorico entro il quale sono tenuti a muoversi tutti i progressisti e i democratici»).
Vascello pirata contro l’egemonia della sinistra
Oggi si cade dalle nuvole, o si finge di non capire, quando qualcuno accenna ai tempi perigliosi in cui la sinistra d’osservanza bolscevica stretta esercitava a muso duro la sua egemonia culturale su scuole, giornali, case editrici, radiotelevisione di Stato, «giornali della borghesia». Ma fu proprio per contrastare questo disegno egemonico, che nei Settanta evolveva indisturbato (salvo che dal Psi craxiano e dalla destra Dc, ma nemmeno tutta) verso il compromesso storico o, in mancanza di peggio, verso la «solidarietà nazionale», che il «vascello pirata» del Giornale nuovo (questa, all’inizio, la testata per intero) salpò per la sua guerra corsara. «Vascello pirata» è la definizione che gli viene data da un libro appena uscito. A cura di Luigi Mascheroni, che scrive una prefazione salgariana, ricca d’informazioni, colpi di scena e arrembaggi, Come un vascello pirata raccoglie a raffica gli editoriali che hanno fatto la storia del Giornale, dal primo, che il 25 giugno 1974 ne annunciò la nascita, all’ultimo, che il 12 gennaio 1994 proclamò un nuovo ammutinamento: l’uscita dei montanelliani dal Giornale che Silvio Berlusconi, che ne era stato a lungo l’editore e basta, volle trasformare nel suo organo di stampa dopo essere passato alla politica.
La Voce tra antiberlusconismo e berlusconismo
Seguì la nascita della Voce (titolo prezzoliniano): un giornale di destra per un pubblico di sinistra, o forse un giornale di sinistra per un pubblico di destra, non era ben chiaro, e che date queste fragili premesse durò pochi mesi, fino all’en plein elettorale del Cavaliere. C’è La Voce all’origine dell’antiberlusconismo. E anche un po’, volendo, all’origine del berlusconismo. Prima d’opporsi alla «discesa in campo» dell’editore, il Giornale aveva infatti abbracciato la causa illiberale (a dir poco) di Tangentopoli, e fu proprio dalle inchieste che spazzarono via il vecchio sistema dei partiti che montò l’onda populista e berlusconiana (ouverture d’una nuova età non soltanto della politica italiana, ma della politica planetaria). In qualche modo il Giornale «di Montanelli» (com’era noto ai suoi lettori) aveva evocato la propria Nemesi. Battere il mare, da pirati, cercando tesori e correndo l’avventura è un mestiere pericoloso, insidiato (ben che vada) dall’eterogenesi dei fini: lasciato il Giornale, perché se ne era impadronito il Cavaliere, La Voce si ritrovò a navigare in un’Italia che Berlusconi s’era pappata per intero.
Oggi, di quel giornalismo epico e talvolta sfortunato, non rimane nulla, salvo i ricordi di quelli cui capitò per ragioni fortuite d’essere presenti mentre si faceva l’impresa (Mascheroni ne raccoglie alcuni, tra cui i miei, in appendice al libro). Del giornalismo d’antan restano le ceneri: paroloni, falsa indignazione, digrignar di denti, vene del collo che si gonfiano, insulti e diffamazioni, schizzi di saliva, moralismo pretesco, fake a pioggia, insulsaggini. A giornali sempre più indemoniati corrispondono (com’è giusto) tirature sempre più basse.
Indro Montanelli, con Luigi Mascheroni, Come un vascello pirata. 50 anni de il Giornale nelle parole del suo fondatore, Rizzoli 2024, pp. 288, 18,00 euro, eBook 9,99 euro.