La Stampa, 8 giugno 2024
L’ultimo mistero di Borsellino
Guardarsi indietro e scoprire che verità assodate, perfino metabolizzate, sono prive di fondamento, castelli di carta pronti a dissolversi in un soffio. Nel nuovo film Depistaggio Borsellino Aurelio Grimaldi, scrittore e regista, da sempre appassionato di cinema civile e sociale, alza il velo su un panorama di intrighi e di indagini deviate che riguarda uno dei grandi martiri della Repubblica, Paolo Borsellino, trucidato a Palermo 57 giorni dopo l’attentato a Giovanni Falcone. Un delitto su cui, a tanti anni di distanza, sembrava non ci fosse più nulla da scoprire, di cui sono stati individuati colpevoli che, in realtà, non lo erano, persone utilizzate solo per coprirne altre: «La famiglia Borsellino – dice Grimaldi – non ha mai cessato di chiedere giustizia sullo sconcertante depistaggio che ha deviato, per anni, i veri responsabili della morte del loro congiunto».
Le prime ricerche, all’indomani della tragedia, spingono il questore La Barbera ad arrestare il piccolo mafioso Vincenzo Scarantino che, spiega il regista, «con le sue confessioni, forzate da torture e violenze, fa arrestare mezza cosca della Guadagna». Questione risolta? Nient’affatto: «17 anni dopo, Gaspare Spatuzza, il killer efferato di padre Puglisi, confessa le sue responsabilità sull’attentato organizzato dai Graviano di Brancaccio. Scarantino e i suoi sono innocenti». A riaprire le indagini è il procuratore Sergio Lari (Andrea Tidona), scopritore di una macchinazione talmente grave da sembrare impossibile, per cui, sostiene il regista, nessuno ha mai veramente pagato. Gli interrogativi sono tantissimi, vanno da quello cruciale, la ragione per cui è stato ucciso Paolo Borsellino, proseguono sul mistero dell’agenda rossa trafugata, riguardano La Barbera e il giudice Tinebra, ambedue defunti, si concentrano sulle loro motivazioni «dall’incapacità all’idiozia, alla necessità di insabbiare i veri autori dell’attentato».
Con l’andatura incalzante del thriller, scorreranno le figure chiave dell’intreccio, da Paolo Borsellino (David Coco) a Arnaldo La Barbera (Tony Sperandeo), da Agnese Borsellino (Francesca Ferro) a Maria Falcone (Rosalba Bologna), il tutto con un preciso taglio stilistico: «A differenza delle cosiddette fiction “cuore in mano” che si sono largamente occupate di Borsellino, questo vuole essere risolutamente cinema, secondo la lezione indimenticabile di Francesco Rosi». L’idea guida è «accompagnare gli spettatori alla scoperta di una storia scandalosa ma trascinante, dove il Bene e il Male non sono schematicamente divisi, ma dove, invece, ogni personaggio assume una sua funzione da tragedia elisabettiana». L’obiettivo, spiega ancora Grimaldi, insegnante oltre che autore, è sintetizzato nella frase che da sempre ripete ai suoi studenti: «Se non studiamo il passato, bello o brutto che sia, non potremo costruire nessun futuro». Una pratica che Grimaldi non ha mai abbandonato, dai tempi del primo romanzo Meri per sempre e poi dell’esordio cinematografico con La discesa di Aclà a Floristella: «Non sono complottista e non temo il ritorno del predominio mafioso, oggi Cosa Nostra è stata ridimensionata, anche se vanno ricordati i tanti siciliani che ci hanno lasciato penne.. Il punto è che il sistema giudiziario italiano è debolissimo e presenta falle terribili». Girato tra Palermo, Termini Imerese, Ciminna e Gangi, prodotto da Arancia Cinema, Depistaggio Borsellino nasce con il pieno appoggio dei familiari del magistrato scomparso: «Voglio ringraziarli enormemente, mi è stato fornito grande aiuto, con documenti e vicinanza in fase di sceneggiatura. L’amico Claudio Fava mi ha presentato Fiammetta Borsellino, ultima figlia di Paolo, che, con la sua nota espressività, mi ha ribadito l’impegno, suo e della famiglia, nella battaglia per il riconoscimento delle responsabilità che, tanti, troppi, pezzi dello Stato, hanno avuto nella vicenda».
Il montaggio del film «sarà in stile J.F.K di Oliver Stone, per dare mordente alle parole», e l’effetto, nella fase politica attuale, potrebbe essere fragoroso: «Lo spettatore deve essere parte in causa, non solo una persona spinta a commuoversi. Raccontiamo i fatti con documenti inoppugnabili, non ci limitiamo alla melassa delle solite rappresentazioni». Nello sforzo speso per demolire il potere di Cosa Nostra, le intercettazioni, quelle che il governo Meloni vorrebbe ridimensionare, hanno avuto ruolo determinante: «I governi conservatori della seconda Repubblica, da quello Berlusconi a quello attuale, hanno sempre immaginato una riforma che limitasse i poteri d’indagine della giustizia, indispensabili non solo nei confronti della criminalità organizzata, ma anche in quelli di reati apparentemente meno invasivi. È un fatto patologico, automatico. Ogni volta che un governo di centro-destra prende il potere, la politica è sempre la stessa, diminuire i poteri d’indagine delle procure. È chiaro che possono sbagliare, e un film come questo lo dimostra, ma, nel mio piccolo, come cittadino, resto convinto che il potere giudiziario debba avere la possibilità di cercare la verità in qualunque forma». —