La Stampa, 8 giugno 2024
Opera, una storia italiana
Uno show nazionalpopolare per l’ultima arte davvero nazionalpopolare, l’opera, in grado di unire nel suo segno destra e sinistra. Perciò è ancora più grande la festa della lirica che si è tenuta ieri sera all’Arena di Verona e mandata in onda in prima serata su Rai1: si celebra il canto lirico italiano divenuto patrimonio dell’umanità con un gran galà in mondovisione.
Il catino del teatro lirico all’aperto più grande al mondo colmo di spettatori è colpo d’occhio che lascia sempre senza fiato, mentre cala il sole e platea e spalti si riempiono poco per volta. Il palco è più imponente del solito: non scenografie e macchinari, ma uno spazio che si sdoppia per accogliere orchestra, coro e, dove ci sarebbe il golfo mistico (coperto), i momenti coreutici. Qui trovano posto i 164 i maestri dell’orchestra e, alle loro spalle, un coro monstre di 314 persone alla cui formazione hanno contribuito tutte le Fondazioni lirico-sinfoniche. Una settantina invece i danzatori che si esibiscono, oltre alle étoile Roberto Bolle e Nicoletta Manni che danzano insieme su Madama Butterfly e Bolle da solo su Cavalleria Rusticana. Sul podio sale il maestro Riccardo Muti che dirige la prima parte più sinfonica, mentre è Francesco Ivan Ciampa ad accompagnare le star della lirica, come Vittorio Grigolo, a cui è affidato il compito di chiudere la serata ben oltre la mezzanotte con Nessun dorma e il Brindisi di Traviata. Mentre ha dato forfait all’ultimo Anna Netrebko, che non stava bene.
Entra Mattarella ed è un boato. Quindi Muti attacca l’Inno di Mameli che sfuma in quello «alla Gioia» dell’Europa Unita. Poco dopo Alberto Angela rievoca quanto spesso si parli di «patria» nell’opera, ma anche quanto – ai tempi dei verdiani Patria oppressa e Va, pensiero qui in scaletta – il loro messaggio fosse urticante per il potere politico, e quanto siano inclusivi anche in termini contemporanei titoli come Traviata (una prostituta) o Rigoletto (un buffone deforme e deriso), «storie di un’umanità palpitante, che parlano a tutti attraverso la lingua universale della musica e del canto». Quando il Maestro Muti alla fine della prima parte fa il suo discorso ricorda che «i grandi capolavori sono il nostro patrimonio e noi italiani l’abbiamo dato al mondo. Una musica popolare nel senso nobile e aristocratico del termine. I grandi compositori come Verdi o Monteverdi sono come i grandi pittori e scultori dell’umanità». E sottolinea che «non esistono prevaricazioni nella musica» e che lorchestra è come la società: tutti hanno partiture anche molto diverse, ma lavorano insieme per il bene comune»: per lui standing ovation.
Nel secondo tempo è Luca Zingaretti ad affermare l’onnipotenza del melodramma. «Sul palcoscenico nulla è reale: le luci, i costumi, il canto sono tutte cose dichiaratamente artefatte. Eppure, magicamente, non ne teniamo conto. Io credo che sia per un certo “sentimento in purezza” non mediato, qualcosa che entra direttamente nel cuore e nella testa delle persone».
Composito il mondo dello spettacolo: presenti in massa i rappresentanti della lirica, ma anche Gabriele Lavia, Guido Testi, Iva Zanicchi, Gerry Calà, Claudia Gerini. Non poteva mancare Michele Scotti, 31enne direttore dell’Opera di Marsiglia: oggi dirigerà la Turandot che inaugura la 101° stagione del Verona Opera Festival nel centenario dalla morte di Puccini. È il suo battesimo in Arena. «L’emozione più grande della mia vita – dice –, per giunta nella versione firmata da Zeffirelli: uno dei sogni di chiunque, a inizio carriera. Una magia che si moltiplica all’Arena, luogo dalla spettacolarità connaturata». Il canto lirico italiano riconosciuto patrimonio dell’umanità «è testimonianza di quanto sia importante l’eredità che ci è stata affidata: dobbiamo tenerne accesa la conoscenza in una società che spesso non l’apprezza abbastanza, e condividerla con resto del mondo. In tal senso, questo galà è grande divulgazione culturale». Il soprano Eleonora Buratto si attarda prima di vestire gli abiti di scena di Cio-Cio-San – canterà Un bel dì vedremo, con «uno storico costume di scena, che mi hanno detto disegnato da un premio Oscar». In arrivo da Monaco, si concede ai giornalisti «per ingannare l’ansia»: dell’Arena è una veterana, ma «esibirsi è sempre un colpo al cuore». Non sale sul palco ma non poteva mancare il baritono Luca Salsi che qui tornerà tra poche settimane per Tosca e Aida 1913. «Ma l’Unesco non arriva un po’ tardi?», provoca. «Serate come questa sono un’ottima occasione per avvicinare all’opera, ma non è vero che i ragazzi non l’amino e non la conoscono: la mia esperienza è molto diversa. Forse basterebbe fare all’interno delle stagioni liriche più spettacoli solo per loro». Risale all’infanzia l’amore di Fabio Testi per il melodramma. «Per via ereditaria» e ricorda le trasferte per andare all’opera appollaiato sulla Moto Guzzi del padre. Mentre Iva Zanicchi, figlia dell’Emilia verdiana, parla di «amore ininterrotto e antico». È una «grande conferma quella che arriva dall’Unesco», dice Gabriele Lavia e ricorda quando da giovane gli consigliavano di dedicarsi al bel canto piuttosto che al teatro. «Ero un baritono niente male». —