Corriere della Sera, 8 giugno 2024
Gli highlights e la vita
Questo sfogo è rivolto a te. A te che lo sport ormai lo guardi solo se te lo servono già predigerito in quelle pappine di due minuti, massimo tre, che adesso si chiamano highlights. Credimi, potrai scorrere all’infinito le immagini sincopate della semifinale parigina tra Alcaraz e Sinner, e illuderti di aver capito tutto solo perché il selezionatore dei momenti salienti, che tra un po’ sarà un algoritmo o forse lo è già, ti avrà mostrato al rallentatore il colpo fantascientifico con cui Jannik riesce a far passare la palla accanto alla rete, anziché sopra. Oppure quell’altro, di Alcaraz, che l’arbitro aveva chiamato fuori, ma che Sinner, da gran signore, ha riconosciuto essere buono.
Però il tennis e lo sport in genere sono un’altra cosa. Un’esperienza epica, che per maturare le sue svolte ha bisogno di condividere con chi l’osserva un fattore indispensabile: il tempo. Gli highlights non possono mostrarti la sensazione di vittoria imminente che aveva pervaso Sinner e i suoi tifosi verso la fine del quarto set, né lo spegnimento improvviso della luce, la fuga di Alcaraz nel quinto e l’illusione soffocata della rimonta. Omero si sarebbe rifiutato di condensare l’ira di Achille in due minuti, massimo tre. Per rispetto nei confronti della vita, che non è una sintesi, ma una maratona punteggiata di crolli, rinascite e anche di attimi dove in apparenza non succede nulla, di solito i più importanti, anche se non finiranno mai negli highlights.