Avvenire, 8 giugno 2024
La miseria del ’500 attorno all’eresia contadina di Pighino
Quasi cinquant’anni fa lo storico Carlo Ginzburg portò all’attenzione dei lettori la storia di un mugnaio friulano, Domenico Scandella detto Menocchio, condannato dall’Inquisizione romana per avere sostenuto idee religiose a dir poco originali. Come si legge nel titolo dell’opera, Ginzburg intendeva svelare il cosmo di un mugnaio del ’500, ovvero il vivacissimo scenario di una cultura popolare, spesso trascurata dalle cronache e dai manuali di storia. Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti, e non vi è dubbio che la lezione di Menocchio abbia lasciato un segno indelebile. Alla sua storia, si aggiunge ora quella di Pellegrino Baroni, detto Pighino, un contadino, anch’esso di metà ’500, nato e cresciuto sullo sfondo della campagna emiliana. È a Susanna Peyronel Ramabudi, storica dell’Età moderna, che si deve la ricostruzione di una biografia per molti aspetti eccezionale ( L’eresia di un contadino. Storia di Pighino Baroni del feudo di Savignano; Viella, pagine 224, euro 25,00). La fortuna – nostra, ma non di Pighino – vuole che il contadino incappasse nelle maglie, strette e accorte, dell’Inquisizione romana: nel processarlo, il tribunale ci ha consegnato una traccia scritta dei suoi convincimenti e delle sue vicende, da cui è possibile ricavare numerose informazioni. Chiamato dall’Inquisizione di Modena a rendere conto delle sue idee, Pighino fu accusato di avere proclamato l’indifferenza delle varie religioni per la salvezza: purché l’uomo si comporti rettamente nella sua religione (qualunque essa sia), la salvezza gli è assicurata; l’inferno poi non esiste e, più in generale, gli stringenti dettami delle chiese (cattoliche o protestanti) non recano alcun giovamento all’anima. Un pensiero inaccettabile agli occhi di un giudice di fede; concezioni che costituivano una sorta di “religione popolare”, un insieme di opinioni largamente diffuse in cui riecheggiavano le posizioni più pericolose del radicalismo dell’epoca. Pighino fu condannato dal tribunale dopo un lungo processo e, pur avendo salva la vita, finì i suoi giorni al servizio dell’inquisitore che lo aveva giudicato.
Il merito del libro di Peyronel non è tuttavia solo quello di riportare alla luce la storia di questo piccolo eroe della libertà: sta piuttosto nel vasto affresco dipinto attorno a esso. L’autrice ricostruisce infatti il contesto socio-culturale in cui il contadino agì e operò. Da un lato, le condizioni della vita materiale nelle campagne italiane di inizio Cinquecento, caratterizzate da raccolti magri, in balia degli eventi atmosferici e degli sconvolgimenti dovuti a uno stato di guerra quasi permanente. Dall’altro, i poteri feudali che, ben più di quello del principe, governavano i territori rurali o montani. Si scorge poi il travaglio della Chiesa del XVI secolo: l’assedio della Riforma protestante e la sua penetrazione in Italia; l’Inquisizione, occhiuta, che scandaglia le fibre di una società in trasformazione; l’impossibile controllo dei vescovi sul clero e la giurisdizione diocesana, provata da anni di semianarchia. Pighino diventa così protagonista di un itinerario a tutto tondo. A riprova che anche la vita di un contadino può racchiudere tesori di valore inestimabile.