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 2024  giugno 08 Sabato calendario

A casa di Vasco

MILANO – La combriccola dei sessantamila ha per titolo: Eh, già, siamo ancora qua. E ognuno di loro guarda lo specchio e nello specchio c’è Vasco. Quello sul palco, come una volta, come sempre. San Siro, per lui è la trentunesima volta qui e ne aggiungerà altre sei, fino al 20 giugno. Da qui ad allora, quasi un mezzo milione di esemplari della combriccola di cui sopra arriveranno nello stadio che quest’anno ha festeggiato parecchio, a celebrare il rito. Come ha detto il sindaco di Milano conferendogli una pergamena, qualunque cosa sia, Vasco a Milano ha stabilito record di pubblico e record emotivi. Ci siamo, ha un senso dire anche questo. Il Komandante avvia il rito con puntualità e poi si va. In platea, un sondaggista avrebbe la pelle d’oca e sprizzerebbe felicità: quello stipato qui, nella prima afa dell’anno, è un campione perfetto di popolazione, età, censo, magari anche propensioni ideali, c’è tutto e di più, ed è così fin dalla prima volta. Era il lontano 1990 ed era il 10 luglio, il tour si chiamava Fronte del Palco.
Quello di cui si può star certi è che ognuno dei sessantamila aggiunge per tutta la serata, e senza forzare alcunché ma solo di istinto naturale, un pezzetto a quello che Vasco ha detto l’altro giorno, raccontando l’ennesimo stato appunto emotivo di ribellione del rocker in là con gli anni, l’urto di disgusto che gli provocano oggi populismo d’accatto e slogan facili a milioni, martellanti ogni santo giorno: «Ho avuto problemi a farmi capire da un sacco di gente che giudicava ma sono certo di una cosa, i miei fan hanno sempre capito ogni riga di ogni mia canzone». Nel sensoche l’hanno presa sempre nel modo giusto, e se lui lo sente e se ne vuole vantare ne ha pieno diritto.
Lo stato di forma è notevole, ammansire la vita di stravizi paga, baschetto e pizzetto sale e pepe rimandano a Peter Gabriel e il quadruplo maxi-schermo alle spalle ne rimanda ogni tratto di ruga e ogni espressione infinitesimale. Ma quello che conta è il centro esatto del mega-schermo che rimanda l’oggetto simbolo di tutto quanto, quello a cui si gira intorno sempre e comunque: c’è un enorme cuore stilizzato, che pulsa e l’effetto è magnifico, sembra una creazione di un Piero Angela psichedelico e coloratissimo, magari i battiti alla fine erano 37 come i concerti, chissà se qualcuno li ha contati: finché l’ingresso a base diCombriccola del Blasco e Asilo Republic – con testo interpolato e “dedicato” alla premier Meloni – si porta via il cuore medesimo di tutto lo stadio. Poi arrivano Gli spari sopra “per tutti i farabutti” di questo mondo. Non mancano, va da sé, i riferimenti puntuali di stato, di luogo e di tempo, quando arriva Bollicine il rocker urla: benvenuti nella Milano da bere! Erano quei tempi e quella era sicuramente coca cola, certo.
Concerto con chicche che mancavano da tempo (Jenny è pazza) e con i classici che è impossibile bucare, Vasco ha parlato di scaletta sociale, sociale e non social, non confondiamo, e lo specchio resta integro, tutti lo guardano, tutti ballano e cantano e – sarà un’impressione – tutti in contemporanea pensano: a sé stessi, al Blasco, a quello che è stato e, i più fortunati, a quello che sarà. E le canzoni assecondano questo ritmo che è vitale assai, passano tutte le obbligatorie, passa Sally,che sta continuando a camminare guardando per terra e alla fine solo Vasco ha saputo cantare alla perfezione e con l’effetto esatto quel “forse ma forse ma sì” finale che chiude ogni discorso. Celebrazione? Certo, e ci mancherebbe altro. Tutti quelli che hanno scritto grandi canzoni in quegli anni d’oro cercano un modo diverso, oggi, per fare la stessa cosa, ovvero celebrare. Vasco come un Ct della Nazionale di quelli che sono ancora qua, dirama le convocazioni e arrivano tutti. Hanno calcolato che San Siro lo si sarebbe potuto riempire non sette volte, ma sette volte sette – più o meno – i biglietti bruciati e l’incasso garantito hanno perfino permesso l’inaudito o quasi: ovvero lui che parte per la serie di live e due giorni prima la principale rete televisiva, Rai1, manda un suo concerto per intero o quasi – Circo Massimo a Roma, 2022.
Il senso? Riconoscersi e correre ancora una volta questa gara perfetta: intanto il cuore sul palco pulsa sempre, fino alla fine, e in conclusione il verbo che bisogna usare in casi simili è proprio quello scientifico: vascolarizzare. Se stessi, il popolo del Blasco, tutti quelli di buona volontà. Un procedimento che fa benissimo e ti rimette al mondo. E magari non è un caso se si dice così.