la Repubblica, 8 giugno 2024
Come cambiano i musei
Che cos’è un museo? Un luogo distante dall’attualità o uno spazio di dialogo con il mondo là fuori? E ancora. Le mostre hanno sempre un risvolto politico o riescono a essere super partes? Infine: se potessimo immaginare uno spazio espositivo ideale, come lo vorremmo? Sono soltanto alcune delle tante domande emerse ad Art for Tomorrow, evento promosso da The Democracy & Culture Foundation a Palazzo Diedo. Nei tre giorni di incontri a Venezia – di cui Repubblica era media partner – moderati dai giornalisti delNew York Times, si è discusso anche del ruolo del museo nel dibattito “Crisi di identità. Il museo nel contesto” con Mariët Westermann, direttrice e ad del Solomon R. Guggenheim Museum and Foundation; Wim Pijbes, storico dell’arte e direttore della Fondazione Droom en Daad di Rotterdam; Sandra Jackson-Dumont, direttrice e ad del Lucas Museum of Narrative Art di Los Angeles; Melissa Chiu, direttrice dell’Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington D.C. e John Akomfrah, artista e regista, quest’anno scelto per rappresentare il Padiglione Gran Bretagna alla Biennale di Venezia.Oggi il concetto stesso di museo sta attraversando un momento di grande cambiamento, basti pensare alla richiesta di restituzione di opere d’arte di quei Paesi che un tempo erano colonie o alla necessità o meno di rispondere a fatti di cronaca che danno origine a dei veri e propri movimenti, vedi Black Lives Matter o MeToo. Riassumere essenza e obiettivi di un museo non è un’impresa facile. Lo dimostra il fatto che l’associazione International Council of Museum (Icom), riunitasi nel 2019per scrivere una nuova definizione di museo, ha impiegato tre anni (dal 2019 al 2022) per arrivare alla dicitura attuale condivisa dagli oltre cento Paesi soci, ritenuta più diplomatica rispetto a quella iniziale, considerata troppo politica. Tuttavia, la giornalista Farah Nayeri ha chiesto se davvero oggi il museo possa astenersi dal prendere una posizione politica, come invece sostiene la Fondazione Guggenheim. «Non bisogna fare l’errore di confondere l’essere incisivi con l’essere politici. Noi vogliamo avere un impatto, ma non per questo siamo una piattaforma politica» ha spiegato Westermann. Per l’ad dei quattro musei (Venezia, Bilbao, New York e l’atteso Abu Dhabi), è eventualmente lo sguardo di chi osserva in un determinato periodo storico a connotare politicamente l’opera: «Kandinskij nel 1946 scrisse teorie sul colore nero e bianco che, lette con gli occhi di oggi, potrebbero assumere per qualcuno significati politici. Noi diamo piena libertà all’artista perché realizzi opere che portino nelle nostre menti visioni incisive, ma non per una presa di posizione politica».Eppure, i complessi avvenimenti di cronaca oggi sembrano quasi chiedere con forza ai musei di reagire e di prendere una posizione. «Non siamo un giornale che 24 ore su 24 deve rispondere a quello che succede» ha detto Pijbes, a capo della Fondazione Droom en Daad che ha commissionato il Fenix Museum of Migration che aprirà nel 2025 a Rotterdam. «Il museo deve cogliere i segni del tempo e in questo sta la capacità di curarne i contenuti. Quello che per me fa la differenza è che oggi, nell’epoca dell’Intelligenza artificiale, il museo garantisce l’autenticità, il senso dell’essere umano e permette di condividere con altre persone una vera esperienza». Poco tempo fa, Pijbes si è presentato alla fine di una manifestazione per raccogliere tutti i cartelloni rimasti che, con molte probabilità, verranno utilizzati nel futuro museo a rappresentare quei segni del tempo che entrano nella storia che si decide di raccontare e custodire. Il “fuori” non è solo cronaca, ma anche rapporto con il territorio.Nel quartiere dove sta prendendo forma il Lucas Museum of Narrative Art c’è il più alto picco di morti per caldo e per questo la struttura avrà molte aree che permetteranno di stare all’ombra. L’Hirshhorn di Washington, invece, aprirà nel 2026 un giardino di sculture progettato da Hiroshi Sugimoto, spostando l’apertura verso un centro commerciale frequentato da 35 milioni all’anno, nella speranza di intercettarli. Sono due esempi diversi che dimostrano però come alcune strutture museali si pensino anche in relazione con l’esterno e cerchino un modo per connettersi con il contesto urbano che le circonda. A proposito dei preparativi del museo di Los Angeles, fondato dal regista George Lucas e dall’imprenditrice Mellody Hobson, Sandra Jackson-Dumont ha sottolineato che si parla spesso delle opere contenute in un museo, ma poco delle persone che invece fanno parte dell’idea stessa di museo. «Noi stiamo cercando di coprire un range di spazio e tempo molto ampio, dalla pittura rupestre allo storytelling, spiegando il contesto in cui quello che esponiamo è stato concepito» ha detto l’ad del progetto. «In America non possiamo essere un’istituzione e prendere una posizione politica. Tuttavia, non vogliamo per questo dare solo informazioni, ma diventare un posto vivo dove emerge il dialogo, anche quello sui temi più scomodi. In una società in cui ti dicono che cosa devi fare e come devi essere, il museo è il luogo dove le persone possono pensare con la propria testa».Parlando del museo ideale, l’artista John Akomfrah ne descrive uno che sembra la sintesi di tutto: un museo che debba pensare anche a munirsi di spazi vuoti, dove quello che accade all’esterno possa comunque essere accolto, magari temporaneamente, anche all’interno, in uno scambio continuo tra dentro e fuori.“Non diventeremo mai una piattaforma politica”, diceMariët Westermann del Guggenheim Per l’artista John Akomfrah quello che accade all’esterno deve essere accolto anche all’interno