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 2024  giugno 07 Venerdì calendario

Zalone e De Gregori



nostro inviato a Roma
Eggià, il momento è arrivato. Prima o poi si sapeva che ci sarebbe stato il compromesso storico, il punto di incontro tra la canzone d’autore e la canzonetta scorretta, quella che si canta dopo il secondo cin cin ma prima no, per carità, che orrore specialmente oggi che tutto deve essere corretto oppure non si può. Terme di Caracalla di Roma. L’altra sera, due mondi distinti ma non così distanti si sono ritrovati sullo stesso palco. Il principe Francesco De Gregori e il comico Checco Zalone insieme a sgretolare il luogo comune della canzone impegnata, seriosa, politicamente schierata. 
In pratica, mentre il cielo si scuriva e un gabbiano volava sopra il pianoforte, un’epoca si è archiviata, bella e memorabile quanto volete ma ora siamo in un’altra, ora c’è meno sacralità e più dissacralità e quindi questi due sono avanti, anticipano i tempi, danno un segnale. «Come se La Russa pomiciasse con Elly Schlein» ha detto il comico quando De Gregori è arrivato in scena davanti a 4500 persone (sindaco di Roma Gualtieri compreso) ed è iniziato il concerto più simbolico degli ultimi anni. 
Giusto per dare l’idea, Zalone al pianoforte ha accennato al memorabile Deborah’s Theme di Morricone (da C’era una volta in America) prima di introdurre Piano bar e dare subito la rotta del concerto: «De Gregori non l’ha scritta pensando a Venditti, in realtà si riferiva a un pianista molto più bravo. Venditti è qui, eh, si è tinto i colpi di sole per non farsi riconoscere». 
Francesco De Gregori, alto ed elegante in giacca e sneakers, ha un’altra faccia rispetto al solito, è quella di chi si gode qualcosa che non ha mai fatto ma forse voleva fare da tanto tempo. Zalone è Zalone, fa le battute che una parte di pubblico si aspetta e l’altra teme perché non sa come reagire e il risultato è comunque epocale. Ridono ma. Applaudono ma. I fan di Checco Zalone sono entusiasti. Quelli storici di De Gregori, i «talebani» come li chiama lui, sono un po’ disorientati. Esultano quando De Gregori spiega e canta Storia di Pinocchio: «Quando ero ragazzo di bottega nella mia prima casa discografica ho visto Nino Manfredi mentre la registrava, un grande» (e qui Checco Zalone si è superato al pianoforte). Ma si irrigidisce mentre, giusto dopo l’immortale Rimmel, il guitto inizia la sua Alejandro dove «suona a fiesta una campana, ma la mi bandera estas amainada». Nel coro anche De Gregori canta il perché: «Io lo so qual è la causia, Alejandro, Ale-andropausia». Ve lo sareste mai immaginato decenni fa? Impossibile. 
De Gregori, il cantautore forse più creativo ma sicuramente più rigido, quello che simpatizzava per il Pci, che aveva suonato per Lotta Continua ma il 2 aprile del 1976 fu contestato al Palalido di Milano e subì un «interrogatorio politico» sul palco, ora si mette in gioco e conferma di avere la credibilità artistica per farlo. Dal concerto alle Terme di Caracalla (che sarà replicato domenica 9 giugno e poi basta) De Gregori esce vincente.
Divide lo spettacolo in due, da una parte il passato, specialmente lo splendido intermezzo di suoi brani meno popolari come I matti o Il Vestito del violinista o Numeri da scaricare (in più un omaggio alla appena scomparsa Giovanna Marini in Sento il fischio del vapore), e dall’altro il presente. Qualche brano è tratto dal disco Pastiche, che ha appena pubblicato con Checco Zalone ma che, come spiega il cantautore, «non ha venduto quasi niente, andatelo a comprare».
Ad esempio Pittori della domenica di Paolo Conte nella quale si capisce, persino teneramente, la distanza interpretativa tra i due. Dall’altra c’è la strana coppia che sul palco propone Culu piattu che, come spiega l’autore Zalone, «mescola black face, cat calling e body shaming, io pensavo di essere il più scorretto d’Italia ma poi è arrivato il Papa». Per capirci, si parla di «una ragazza senza culo che in Brasile equivale a una invalida civile». Risate a denti stretti per la maggior parte del pubblico. Come quando Zalone attacca Immigrato dicendo che «l’avevo proposta a Vannacci per la campagna elettorale, ma lui ha scelto Generale di De Gregori pagandola».
Poi c’è Gli uomini sessuali che, tanto per capirci, «c’hanno le ali per volare via con la fantasia da questa loro atroce malattia». Nota a margine, Francesco De Gregori era ai cori mentre Zalone cantava per poi scherzare dicendo che «questo brano è diventato l’inno del Vaticano».
Insomma la fine di un’epoca e il prologo di un’altra storia. E se poi il guitto è inarrestabile al piano in Buonanotte fiorellino, diventa irresistibile nell’inedita Battiato in cui si immagina il cantautore scomparso mentre cerca una donna tra le categorie di YouPorn e finisce nell’«ecumenica gang bang di gesuiti ed euclidei». Il pubblico ride ancora quando inizia la finale Donna cannone, enorme, stupenda, memorabile anche nella sera che archivia quattro decenni di schieramenti e pregiudizi. Forse alle Terme di Caracalla si è chiusa formalmente un’epoca già chiusa da molto tempo. Ma si è tornati in quella giusta, libera dai pregiudizi e dalle ideologie, culturalmente aperta e capace di ridersi addosso senza perdere autorevolezza. Con questo spirito De Gregori a fine ottobre terrà venti, dicesi venti, concerti al Teatro Off Off di Milano con 200 spettatori a sera. Una sorta di ripartenza per la seconda fase della sua carriera, a 73 anni compiuti e un po’ di muri ormai faticosamente abbattuti.