la Repubblica, 7 giugno 2024
Perché Matteotti è stato ucciso tante volte
Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. E fu assassinato su mandato morale di Benito Mussolini, il fondatore, guida e idolo del fascismo. Modalità barbariche e mandante del delitto elevarono immediatamente l’omicidio a emblema di ogni altro crimine fascista proclamando una verità non controvertibile: la violenza politica omicida è stata – e sempre rimarrà – una componente essenziale del fascismo. La tragica morte di Matteotti rese evidente ai contemporanei – e a noi cento anni dopo – che lo squadrismo è l’essenza stessa del fascismo: un Capo, un branco di uomini in armi, la necessità di un nemico da annientare, la violenza (fisica o verbale) come orizzonte intranscendibile della lotta politica. A questa brutale semplificazione la mentalità fascista riduce la vita umana, allora come oggi.
Furono in cinque ad attendere Matteotti sotto casa il 10 di giugno del 1924, Amerigo Dùmini più quattro squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Mussolini. L’onorevole Matteotti, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono suse stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.
Mussolini fu immediatamente informato. Cercò di insabbiare le prove del crimine con ogni mezzo, mentì spudoratamente su di esso di fronte al Parlamento. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.
Purtroppo, l’anniversario del crimine fascista induce a commemorare Matteotti prevalentemente come vittima. Anche il podcast che qui si annuncia verrà intitolato alla morte del leader socialista e non alla sua vita. È questa, infatti, una delle conseguenze secondarie, ma non minori, della violenza: gli uomini che la subiscono vengono declassati a vittime, la loro complessa identità tende a ridursi alla sola qualità puntiforme della vittimizzazione. Ciò da luogo a una forma di oblio, a un ulteriore annientamento: si viene considerati e ricordati non per ciò che si è fatto, pensato, scritto ma soltanto per ciò che si è subito.
Matteotti andrebbe invece ricordato per le sue tante attività, per le sue qualità di rappresentante del miglior socialismo italiano e, dunque, di irriducibile antifascista; andrebbe ricordato per il suo ragionato eppure intransigente pacifismo (fu l’unico socialista riformista a scontare tre anni di confino); per il suo “gradualismo”, cioè per un’azione riformatrice tesa allo sviluppo graduale del capitalismo verso un socialismo democratico, sostanzialmente estraneo a i metodi violenti (il che fece di lui, in un’epoca di forsennati, sedicenti rivoluzionari di destra e di sinistra, un bersaglio dei contrapposti odi di fazioni polarizzate agli estremi); per l’estrema competenza, dedizione e tenacia con cui svolse suo dovere di parlamentare (esaminò a fondo il bilancio dello Stato e denunciò l’illegalismo fascista non soltanto in campo penale ma anche elettorale e amministrativo); andrebbe, infine, ricordato il suo profilo di uomo mite, di marito devoto, di padre condannato all’assenza dalla persecuzione (lo struggente carteggio con la moglie Velia rende testimonianza di fragilità, tormenti,perfino della sua intima disperazione).
Poi, certo, non si deve dimenticare calvario e martirio del leader socialista. Il martirio fu atroce, il calvario fu lungo, sconsolante e sconsolato. Come avrebbe detto il poeta, Giacomo Matteotti fu ucciso molte volte prima di essere ammazzato. Fu ucciso dall’indifferenza degli ignavi, dal tradimento dei compagni inclini al compromesso o all’oltranzismo velleitario, soprattutto fu ucciso in vita dal vile accanimento dei fascisti che lo avevano eletto a nemico. Lo bandirono dalla sua casa, dalla sua terra, lo sequestrarono, lo torturarono, lo braccarono per anni con una persecuzione spietata. E, sopra ogni altra cosa, looltraggiarono, lui uomo integerrimo, nella reputazione prima che nel corpo, uccidendolo un poco ogni giorno con la calunnia, il discredito, la diffamazione.
A lui, erede di una ricca famiglia di agrari che aveva sposato la causa dei miserabili, rimproveravano con meschini cenni di scherno di essere “il socialista impellicciato” (oggi lo taccerebbero di essere un radical chic).
Soltanto in questo modo, mettendo la morte orribile di Giacomo Matteotti nella prospettiva della sua vita operosa, se ne comprende e riceve il lascito. Io credo che consista nel significato autentico, pieno e durevole della parola “antifascista”. Giacomo Matteotti ci insegnò cheessere antifascista non significa abbandonarsi a un conato di mero contrasto, essere contro qualcosa o qualcuno, magari fino al punto di farsi ammazzare. Matteotti ci insegnò, piuttosto, che l’antifascismo dischiude un ampio ventaglio di valori positivi, di azioni propositive, di passioni creative.
L’antifascismo, a dispetto del suo prefisso, è innanzitutto a favore, è per qualcosa, prima di essere contro; è per la democrazia, dunque contro il dispotismo (sia esso dittatura aperta oppure autocrazia, autoritarismo, intolleranza); è per la pace, dunque contro la guerra (salvo in rarissimi casi di necessità); è per il progresso, dunque contro la reazione; è per la ragione,dunque contro la violenza; è per la legalità, dunque contro l’illegalismo; è per il lavoro, dunque contro lo sfruttamento; è per la comunione internazionale tra i popoli, dunque i nazionalismi (in ogni declinazione, compreso quella sovranista); per la tenue speranza nel futuro contro la rabbiosa nostalgia del passato, per la fragile bellezza del Parlamento contro la seduzione dell’uomo forte, per i diritti di tutti contro l’arbitrio dei molti.
«Vasto programma», commenteranno i cinici con il loro eterno ghigno di supponenza. Sì, vasto programma.
Oggi come ieri. Ieri come oggi.