Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  giugno 07 Venerdì calendario

Ogni generazione ha un D-Day

Ogni generazione ha il suo D-day: una sfida da cui dipende il destino dei popoli e che può richiedere il massimo sacrificio. È questa la sintesi del messaggio portato da Joe Biden sulle spiagge della Normandia per l’ottantesimo anniversario dello sbarco che decise le sorti della Seconda guerra mondiale, creando le basi per l’Europa democratica e unita dei decenni successivi. “La lotta per liberare l’Ucraina riecheggia la battaglia per la libertà sulle spiagge del 6 giugno 1944”, ha detto il presidente degli Stati Uniti, durante le solenni cerimonie in Francia davanti agli ultimi veterani ancora in vita e a venticinque Capi di Stato. Significa che per alcuni il “giorno più lungo”, come fu chiamata quella epica impresa, non è finito. Vuol dire che, di generazione in generazione, ognuno può essere chiamato ad opporsi alla tirannia.
Perciò il coraggio dei “ragazzi di Pointe du Hoc”, come un altro presidente americano, Ronald Reagan, nel quarantesimo anniversario dello sbarco chiamò i Ranger dell’esercito Usa che si arrampicavano uno ad uno su una scogliera sotto il fuoco delle batterie naziste, non va visto come un romantico eroismo del passato, bensì ricordato come un nobile esempio da meditare e seguire. Certo, quei ragazzi appartenevano a “the greatest generation”, la generazione più grande, titolo di un bel libro del giornalista Tom Brokav sui soldati che, sbarcando in Normandia, cominciarono a liberare il continente, vinsero la guerra contro Hitler e su quella vittoria, tornati a casa, costruirono un’era di democrazia e prosperità: non solo per l’America, nemmeno soltanto per i Paesi che ne erano stati alleati durante il conflitto, ma pure per gli ex-nemici, in uno spirito di generosa riconciliazione. I giovani ucraini che si arruolano per respingere l’invasione russa, tuttavia, non sono differenti: desiderano le stesse cose, libertà, democrazia, appartenere alla civiltà occidentale, anch’essi pronti a dare la vita per ottenerle.
Ognuno dei 160 mila militari americani che ottanta anni fa attraversarono il canale della Manica su settemila navi, nel più grande attacco navale della storia, aveva ricevuto un librettino di istruzioni in cui era scritto fra l’altro, come ha rammentato lo storico Garret Graff sulNew York Times: “Le nostre democrazie non si fanno semplicemente favori a vicenda, nel combattere una per l’altra, quando la storia diventa dura. Siamo tutti sulla stessa barca. In Francia vedrete cosa hanno fatto i nazisti a un Paese democratico”. Le stesse istruzioni potrebbero essere date da Kiev ai propri soldati e alle nazioni che forniscono loro armi e munizioni, a proposito del quinto del proprio territorio nazionale sotto il tallone della Russia di Vladimir Putin. Come disse DwightEisenhower, comandante supremo delle forze alleate nella Seconda guerra mondiale, nel ventesimo anniversario dello sbarco: “Quegli uomini approdarono alle spiagge della Normandia per un solo scopo, non per conquistare qualcosa per sé, non per realizzare una qualche ambizione americana, ma solamente per preservare la libertà”.
Un concetto riaffermato dal presidente Reagan nel discorso in Normandia del 1984, orazione rimasta famosa, scritta per lui dalla migliore speechwriter della Casa Bianca, Peggy Noonan, adesso una columnist delWall Street Journal, premiata nel 2017 con il Pulitzer: “Quei ragazzi sapevano che stavano facendo la cosa giusta, sapevano che c’è una profonda differenza morale tra l’uso della forza per liberare e l’uso della forza per conquistare. Voi – proseguì Reagan rivolto ai veterani dello sbarco – sapevate che ci sono cose per cui vale la pena morire. Si muore per il proprio Paese. Si muore per la democrazia. Si muore per la libertà e per combattere latirannia”. Parole che il presidente ucraino Zelensky potrebbe ripetere ai soldati impegnati a respingere la tirannia di Putin, ma che valgono anche per chi non deve sbarcare su una spiaggia, non è chiamato a combattere e deve solo appoggiare con ogni mezzo la lotta perenne del Bene contro il Male. Ecco cosa ha inteso dire Joe Biden: il D-day non è soltanto un vecchio film in bianco e nero, rimane attuale, di generazione in generazione. La campana del giorno più lungo suona ancora per noi.