il Giornale, 6 giugno 2024
La contessa di Castiglione influencer dell’Ottocento
Più che una donna, un’arma di seduzione di massa. L’incrocio dell’intelligenza salottiera e della seduzione più spudorata per piegare con un piano, di astuzia verticale e mezzi orizzontali, la Francia a un’alleanza che servì soprattutto all’Italia. Questo e molto altro ancora è stata Virginia Oldoini, nota al mondo, solo e soltanto, come la Contessa di Castiglione. Un mito del Risorgimento, in mascherina e trine, capace di ottenere per la Patria quello che nessun altro diplomatico avrebbe potuto ottenere. Nata a Firenze il 22 marzo del 1837 (non fidatevi di Wikipedia) al giusto incrocio tra mondanità e cultura, proiettata sin da giovane in mezzo ai napoleonidi espatriati, aveva sposato su spinta genitoriale il migliore dei partiti: Francesco Verasis Asinari, Conte di Castiglione (adottato dopo la morte del padre da Cavour e amico di Massimo d’Azeglio).
Ma il matrimonio non era il suo, mentre lo era e lo capirono subito Cavour e Vittorio Emanuele II, il prendere per mano uomini molto più grandi e accompagnarli verso il loro destino.
Fu così che fu inviata in Francia con un piano ben preciso, per quanto di difficilissima realizzazione: trasformare Luigi Bonaparte nel giusto alleato per cacciare l’Austria dall’Italia. Terminare il lavoro di tessitura internazionale che era stato iniziato con la guerra di Crimea e per essere concluso necessitava di qualcosa di diverso dalle baionette dei bersaglieri. Così la contessa arrivò a Parigi attorno al Natale del 1855. E nel giro di due anni bollenti sarebbe nato un mito. Un mito calcificato in mille epiteti: «Nicchia», «L’amante dell’Imperatore», «l’Imperatrice senza Impero», «La più bella donna d’Europa», «Dea dell’Ottocento», «Ambasciatrice di Cavour» e anche «Vulva d’oro del Risorgimento» dal cattivissimo Urbano Rattazzi, che non entrò mai nelle sue grazie. E poi a finire di fabbricare la leggenda ci pensò un raffinato dandy come Robert de Montesquiou che le dedicò un volume, diventato ricercatissimo e costosissimo per i bibliofili, La Divine Comtesse, pubblicato dal grande amico di Marcel Proust dopo anni di studi e ricerche nel 1913. Il prezioso libro fu stampato in duecento esemplari di cui venticinque su carta imperiale del Giappone. La prefazione era firmata da Gabriele d’Annunzio.
E la vera Virginia finì seppellita dall’immagine che lei stessa aveva contribuito a costruire, anche a colpi di fotografie. Anche perché molte delle sue carte che la mostravano in qualità di fine diplomatica e spia vennero distrutte alla sua morte dal pronto intervento di Carlo Sforza, inviato dal governo italiano in Francia proprio a questo scopo.
Ma è proprio a partire dalle fotografie che oggi a Torino la Contessa rivivrà all’interno di un incontro che fa parte del Festival Archivissima e si terrà al Museo del Risorgimento: «Passioni allo specchio: la Contessa di Castiglione e l’Album Nigra». Si tratta di un talk con Roberto Coaloa, storico e scrittore, con il contributo video di Benedetta Craveri, critica letteraria e scrittrice, autrice nel 2021 della biografia La contessa. Virginia Verasis di Castiglione (Adelphi). Come ha spiegato Coaloa a il Giornale, l’Album Nigra, le cui fotografie vengono esposte al Museo (lo saranno sino al 30 giugno) è un documento eccezionale. «È una delle poche raccolte complete di fotografie della Contessa. L’Album fu donato dopo il 1911 dagli eredi del diplomatico piemontese Costantino Nigra, amico e probabilmente amante della Contessa, scomparso ottantenne nel 1907. L’Album si compone delle primissime fotografie della Contessa realizzate da Pierre-Louis Pierson. Sono venticinque, bellissime, incollate sul cartonato dell’album fotografico d’epoca più una staccata. Sono state realizzate nel 1856 con la tecnica della stampa all’albume, introdotta nel 1850. I negativi erano lastre di vetro al collodio».
L’Album Nigra è unico nel suo genere. Ci dice ancora Coaloa: «Gli originali scatti della Castiglione sono incollati e rifilati, all’epoca, sul cartonato originale e incorniciati da merletti di cartapesta, probabilmente scelti da lei». Alcune foto però sono state asportate, probabilmente «perché giudicate troppo audaci. Un vero peccato. Con la nostra sensibilità, quelle immagini censurate si sarebbero mostrate come innocue, ma probabilmente per la sensibilità fin de siècle erano da eliminare».
Al Museo, accanto all’Album sarà esposto, per la prima volta, un prezioso bracciale intarsiato, attribuito alla Contessa di Castiglione e appena acquisito dal Museo grazie a una donazione privata. Un altro mito da sfatare è che la Contessa sia morta in solitudine e povertà. Ci spiega ancora Coaloa: «Aveva gioielli di un valore spropositato... Migliaia di vestiti, amicizie ovunque. Quando scriveva a Bismarck il cancelliere le rispondeva... Solo con il libro della Craveri si è iniziato davvero ad esplorare la dimensione politica della Castiglione: era una mente di punta della spregiudicata diplomazia sabauda. Una diplomazia a tutto campo, seduzione compresa».
E così la Castiglione può ancora fissarci beffardamente malinconica attraverso le fotografie, recitando se stessa, per incantare ancora. Tra realtà e bugie, civetterie verso intellettuali del calibro di Nigra che con lei tornavano magari un po’ bambini, tra un intrigo e l’altro. Ma lei chi era? Non lo sapremo mai e forse non lo sapeva neanche lei. Come scegliere la vera Virginia, tra la sposa bambina, l’amante di Stato, l’istrionica performer fotografica? Quell che vediamo è l’ultima. alla fine di ogni festa si recava allo studio di un pioniere del ritratto: il sopracitato Pierre-Louis Pierson (1822 1913). Con la Contessa di Castiglione realizzò più di 500 pose. E noi solo quelle possiamo guardare... Sguardi malinconici di chi si concede ma non si dà. Per rafforzare il mito e anche perché, come spiega la responsabile degli archivi del Museo Daniela Orta era «una inguaribile narcisista». Ma per Nigra le raccolse e incorniciò Lei, come se qualcosa dare volesse...