Avvenire, 6 giugno 2024
Quello che c’è dietro una canzone
«È la musica che gira intorno», cantava Ivano Fossati. Già ma quale musica “gira intorno”? È soprattutto la canzone, forma musicale che ha un grande futuro dietro le spalle e che domina il nostro vissuto quotidiano. Come anche l’industria dell’intrattenimento, sia esso fruito in modo tradizionale, digitale o sia proiettato nell’intelligenza artificiale. Infatti, se un altro celebre cantautore. Edoardo Bennato, metteva agli atti che «sono solo canzonette», in realtà questa forma musicale è un osservatorio privilegiato per capire il panorama mediatico di oggi. Sono oltre cento milioni i brani, in gran parte canzoni, disponibili a costo irrisorio nelle piattaforme in streaming. E nella musica siamo immersi ovunque. Attraverso device mobili, radio e tv, che azioniamo volontariamente. Ma anche nostro malgrado, negli ambienti che frequentiamo nei quali è diffusa. Anche elettronici, come il gaming (alcune playlist di giochi sono assurte quasi al ruolo delle colonne sonore dei film o delle serie tv) o social come TikTok con le sue canzoni- meme. Nella consapevolezza che la canzone «definisce la musica pop, che a sua volta è una parte della cultura contemporanea» ed è più potente del narrare storie e della musica stessa, unendo suono e parola, Gianni Sibilla ha intitolato L’industria della canzone il libro appena uscito per Laterza (pagine 264, euro 22,00). Sibilla, direttore del master in Comunicazione musicale all’Università cattolica e docente della stessa materia allo Iulm di Milano, ha realizzato un libro che è allo stesso tempo un manuale universitario e una guida per tutti, intriso com’è – al di là della sistematicità dello studioso – della passione dell’autore per le canzoni in tutte le forme e formati, elemento comune alla gran parte delle persone. In più Sibilla è giornalista e conosce live tutti meandri dell’arte e del business musicale, soffermandosi perciò molto su come oggi cultura e media veicolino la canzone.
Il volume analizza in quattro sezioni tutti gli aspetti di questi macrocosmo fatto di suoni e parole. A partire dalle definizioni concettuali: cos’è musica pop, leggera, rock, mainstream e indie. Definizioni non omogenee che spesso generano discorsi confusi. Si pensi al dibattito insorto (e spesso risorgente) sul carattere rock dei Måneskin. O alle discussioni interminabili su perché o percome un cantante partecipi o no al Festival di Sanremo. Spesso si evoca in proposito il concetto di “musica leggera”, che risente della contrapposizione tra cultura “alta” e bassa instaurata della Scuole di Francoforte. Sibilla, sulla scorta di suoi precedenti lavori dedicati all’argomento, opta per inserire la canzone nel campo in cui, in assenza di un termine “ombrello”, il modo più corretto per definirla è “musica pop”. Espressione in cui “pop” non indica tanto una contrapposizione con rock o con le altre “etichette” ricordate, quanto piuttosto si rifà alla “pop art”. Anch’esso temine vasto, ma che ha dei limiti definiti da periodo, forma canzone, ruolo dei media e centralità dell’artista come personaggio. Si passa poi a dare conto dei fattori produttivi e degli attori in gioco in questo processo: artista, manager e ancora discografia e performance dal vivo, aspetti questi ultimi intrecciati a una questione che è «concettuale e pratica», cioè quella dei «formati e dei supporti, cioè il modo in cui le tecnologie e gli spazi dei media contribuiscono in modo determinante a dare la forma alla canzone stessa». La terza parte indaga il ruolo dei mezzi di comunicazione nel raccontare la canzone. Con una presenza ancora significativa dei media analogici, o legacy media, che formano un sistema integrato con piattaforme streaming e social. Tanto che «spesso l’artista digitale ambisce ad apparire in televisione o a passare in radio per consolidare la propria carriera e reputazione». Infine, chiude il cerchio una riflessione sul valore della canzone.
Già. Qual è il valore di una canzone? Pezzi belli e brutti sono sempre esistiti e sempre esisteranno. Perciò Sibilla diffida sia dei nostalgici dei bei tempi andati che dei laudatori del nuovo a ogni costo. E in un saggio che si basa sull’industria che produce tali brani piuttosto non si può non partire dal loro valore economico. Qui l’autore tocca il tasto, dolente, del compenso per i musicisti nel sistema delle piattaforme. Infatti, un conto è il valore di un singolo brano, un altro quello degli interi cataloghi, un altro ancora quello della canzone inserita in un’esibizione o passata sui social. Per il singolo a sua volta i fattori sono variabili. Poco tempo fa, ma sembrano passati secoli, c’erano utenti disposti a pagare anche 3 euro per pochi secondi della propria hit del cuore da inserire come suoneria nel telefono. Oggi le piattaforme sono regolate da diversi modelli di retribuzione dei detentori di licenze, siano essi discografici o artisti, e nei casi peggiori – come lo stream freemium, non legato ad abbonamenti – per generare 2-3 mila euro/ dollari serve un milione di ascolti. «Ecco perché questo modello viene ritenuto iniquo dagli artisti: premia e retribuisce significativamente solo chi è in grado di accumulare mensilmente diversi milioni di ascoltatori e di stream, di fatto svilendo il valore della canzone e del lavoro della maggior pare degli artisti, trasformati in lavoratori a cottimo che faticano ad arrivare a uno stipendio dignitoso a fine mese anche accumulando centinaia di migliaia di ascolti».
Altro discorso per il mercato degli interi cataloghi, che negli ultimi anni ha visto ad esempio Bob Dylan cedere 600 sue canzoni originali da lui selezionate per 300 milioni di dollari, mentre Bruce Springsteen per il suo intero repertorio ha ricevuto 500 milioni. Un evidente guadagno per loro, con la perdita però del controllo sulla propria produzione, sulla quale le case discografiche hanno fatto i loro conti. Sui social, invece, tutto è regolato da contrattazioni collettive, per le quali le piattaforme pagano diritti che poi vengono redistribuiti. Variabile anche il costo dei biglietti per i concerti, che va da decine a centinaia di euro a seconda della reputazione dell’artista. E qui entriamo nel discorso sul valore artistico, per la carriera dell’artista e a livello simbolico e culturale delle canzoni. Resta il “mistero” sul perché rivestano tanta importanza per noi ascoltatori e sul perché, apparente paradosso, ormai siamo disponibili a fruirne solo a prezzi irrisori o nulli. Perciò serve non solo capire la musica che gira intorno, ma anche ciò che gira intorno alla musica.