il Fatto Quotidiano, 6 giugno 2024
“‘Moby Dick’? Pieno di erroracci". Lo dice Mercadini
Anticipiamo stralci dell’intervento di Roberto Mercadini ospite al Festival della disperazione di Andria (7-16 giugno).
Moby Dick di Herman Melville comincia con un errore. La primissima pagina riporta un elenco: la parola “balena” in una dozzina di lingue diverse. Per primo, solenne, compare il vocabolo in ebraico. Ma è sbagliato. Clamorosamente: Melville confonde la lettera iniziale con un’altra (simile nella grafia, ma diversa nella pronuncia) e dimentica bellamente una delle lettere (delle tre in totale).
Tutto il libro, a dire la verità, è pieno di errori. Una lunghissima (e noiosa) disquisizione sul fatto che la balena sia un mammifero oppure un pesce si conclude con l’asserzione che essa… è un pesce! Alcune incongruenze sono madornali. Per esempio, se il narratore è l’impacciato Ismaele, come può riportare parola per parola i magnifici soliloqui del capitano Achab? Grazie alla telepatia?
A dirla tutta, l’intero libro, in un certo senso, è un errore. Doveva trattarsi – sembra – di un “normale” romanzo di mare. Come quelli che Melville aveva già scritto, che tanti suoi contemporanei scrivevano e che, probabilmente, gli editori esigevano. Ma, d’un tratto, la storia si ingolfa, e sbanda. Compaiono parentesi, digressioni, inserti. Le interruzioni si fanno sempre più numerose, sempre più lunghe, sempre più interessanti. La cosa sembra sfuggire di mano all’autore stesso. Finché la trama collassa e le interruzioni diventano il romanzo stesso: interruzioni geniali, vertiginose, esilaranti, imprevedibili; ora puramente filosofiche, ora angustamente tecniche, ora sfrenatamente demenziali. Lo stile e il registro cambiano in continuazione. È come se Melville volesse mostrarci tutto quello che si può fare con le parole, a costo di apparire maldestro. Lui stesso lo dice: “Io tento tutto, e riesco come posso”.
Molte volte mi sono chiesto come un uomo solo (e a soli 32 anni) abbia potuto concepire e dare alla luce un simile portento.
Nessun altro libro mi ha mai fatto percepire con tanta vertiginosa energia la smisurata, mostruosa complessità del mondo. Nessun altro libro mi ha dato l’impressione esaltante – e inquietante – che la mia mente tentasse di espandersi per inglobare il tutto, che i miei pensieri – insofferenti a ogni monotonia – si moltiplicassero, indomabili.
Nessun altro libro, in breve, mi ha sconvolto in modo così radicale.
Ora, per esempio, mi viene naturale credere che le cose veramente belle e veramente grandi siano piene zeppe di errori. E che siano, a volte, in un certo senso, esse stesse per intero un errore.