la Repubblica, 6 giugno 2024
Se la Lega diventa il partito di Vannacci
Quanto sia stretto il sentiero su cui si muove Matteo Salvini era evidente ieri leggendo l’intervista alla Stampa. Il cosiddetto Capitano ha bisogno del candidato Vannacci, ma al tempo stesso è consapevole che il partito non lo vuole e anzi lo considera un corpo estraneo, lo tollera solo perché il capo lo ha imposto. Quello che accadrà dopo il 10 giugno, a risultati acquisiti, nessuno oggi può dirlo. Dipenderà, appunto, dall’esito del voto. Questa tenaglia dimostra in modo inequivocabile la difficoltà di Salvini. E infatti egli è costretto a esibire nelle piazze e sulle schede il generale di estrema destra, ossia l’autentico candidato “salviniano”, nella speranza che il colpo di dadi abbia successo.
Una pioggia di voti (nonché di preferenze) portati da Vannacci avrebbe l’effetto di sommergere la delusione diffusa nel partito per la gestione degli ultimi anni. E si parla di vecchi elettori, ma soprattutto di quadri e amministratori locali, dai sindaci ai presidenti di regione. Questa era e rimane la vera forza del Carroccio, quel che resta dell’antica lezione di Umberto Bossi. Il quale, almeno in origine, era considerato un uomo di sinistra: la famosa “costola”evocata da D’Alema. Viceversa Salvini è in modo istintivo un uomo della destra populista che si trova a suo agio con l’amica Le Pen, con Orbán, con le varie “quinte colonne” pro-Putin in Europa. Ora, con la mentalità del giocatore d’azzardo, punta in prospettiva su Trump alla Casa Bianca. L’obiettivo, come è noto, è sempre quello di tenere sulle spine Giorgia Meloni, incalzandola da destra. Non è una tattica sofisticata, anzi è prevedibile, ma è l’unica che Salvini sa concepire. E non si tratta solo di recuperare voti sfruttando la fine della stagione d’oro del “melonismo”; c’è soprattutto da contenere l’astensionismo di destra e i suoi effetti negativi sulle percentuali di domenica sera.
Quindi, ecco Vannacci. Che rappresenta in tutto e per tutto un altro partito. Non più il movimento inventato da Bossi e dai suoi collaboratori della prima ora; non più la formazione anti-centralista al limite della secessione nordista, quale pure fu per alcuni anni. Bensì il partito su cui ha pesato l’impronta di Salvini, la sua voglia di presentarsi con un progetto nazionale capace di cucire Nord e Sud. Fallita questa operazione, l’estremo tentativo del Capitano consiste nel creare un nuovo partito personale di estrema destra destinato a non avere quasi più nulla in comune con la vecchia Lega, al di là delle parole. Quindi si tratta – tentativo velleitario – di spingere la Meloni verso il centro, dove è già accampato Tajani con Forza Italia: vale a dire il nemico del momento, perché Salvini non riesce nemmeno a immaginare che gli ex berlusconiani siano in grado di superarlo, come invece è possibile.
Tra l’altro, un partito di estrema destra modellato sulla personalità del generale è poco credibile come faro delle autonomie regionali. Lo sarebbe di più se abbracciasse una linea centralista, come Marine Le Pen in Francia. Invece deve tenere alta la bandiera regionalista come omaggio a una tradizione che nel frattempo è stata svuotata e impoverita. E ancora. Se il neo-partito salviniano avesse successo nei prossimi giorni, si creerebbe un duopolio al vertice: accanto al Capitano prenderebbe posto il suo salvatore, Vannacci. E, come è noto, due galli nello stesso pollaio non coesistono a lungo.