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 2024  giugno 05 Mercoledì calendario

Articoli su Sinner

Vincenzo Martucci sul Mess
Il re Sole del tennis spunta su Parigi dopo le troppe piogge sul Roland Garros: si chiama Jannik Sinner, ha 22 anni e per la prima volta nella storia è italiano. Con grazia ed eleganza da lunedì siederà al posto di Novak Djokovic, il re Cannibale di 24 Slam e di tanti altri record. Che, tradito dalla terra rossa ormai fanghiglia del secondo Slam dell’anno, getta la spugna, ferito, e lascia il torneo. «Rottura menisco mediale destro»: annuncia, arrabbiatissimo e frustratissimo sotto il peso dei 37 anni e di troppe battaglie, con le ultime due maratone di 4 ore e una scivolata di troppo.
Il Profeta dai capelli rossi nega di aver capito sul campo, sul 6-2 6-4 5-4, quando serve per il match nei quarti del Roland Garros contro Grigor Dimitrov, di essere entrato nella storia dopo una rincorsa che, ufficialmente, dura da settembre, all’indomani del ko con Sascha Zverev agli US Open, ma che covava dai 13 anni quando ha lasciato gli sci. «Non sapevo nulla, ho accusato un po’ la pressione, ma è normale, è il tennis, sono però contento di come ho giocato subito dopo». Cioè al tie-break, per battere il bulgaro e qualificarsi, dopodomani, alle sue prime semifinali in Francia contro Carlos Alcaraz, che ha regolato Tsitsipas 6-1 7-6 6-4. È talmente unico questo ragazzo di appena 22 anni, così pacato, educato, onesto, che nel discorsetto davanti ai 15mila del Philippe Chatrier proclama perfetto come al solito: «Diventare numero uno è il sogno di tutti, ma vedendo che Novak si ritira sono dispiaciuto, gli auguro una pronta guarigione».
IMPEGNO
Inutile sperare in una lacrimuccia o in un gesto di commozione o di particolare euforia che avrebbero avuto tanti altri numeri 1 italiani più coloriti ed estroversi, da Tomba a Valentino Rossi. L’Artù che estrae la spada dalla roccia di uno sport che era la maglia nera delle federazioni italiane e che ora abbaglia, è il profeta del lavoro, dell’impegno, dell’esempio, dell’umiltà, i valori appresi dai genitori, che lavoravano come cuoco e cameriera in una baita. Perciò dice: «Cercherò di non pensare tanto al numero 1 perché non sono venuto qui per questo, ma per far bene in questo torneo dove ho sempre faticato tanto negli ultimi due anni, cercherò di continuare a divertirmi, sono contento di essere in semifinale. Grazie al mio team che ha reso tutto questo processo possibile dopo i dubbi che avevamo per essere competitivi dopo l’infortunio all’anca e recuperare fra una partita e l’altra». Di più, con la lucidità che lo contraddistingue sempre, soprattutto in campo, quando cancella subito l’errore e riparte verso il punto successivo, ringrazia il pubblico di Parigi e insieme il suo paese al quale ha riportato la coppa Davis e che rappresenterà all’Olimpiade: «Grazie anche a voi: è un momento speciale e sono contento di condividerlo anche con tutti quelli che lo stanno vivendo davanti alla tv, specialmente dall’Italia».
NORMALITÀ
Jannik è diventato il primo giocatore nato negli anni 2000 a raggiungere le 50 vittorie Slam e martedì porterà la coppa Davis nella sua Val Pusteria, ma il Profeta dai capelli rossi ha altro per la testa. Il passato: «Ho fatto tanti sacrifici, e continuerò così perché questa via mi ha portato dove sono ora. Ho fatto delle scelte non semplici, come quella, di due anni fa. Mi sono buttato un po’ nel fuoco. Sono fiero di me e di tutte le persone che mi hanno aiutato, e ho sempre accettato le difficoltà, ho provato. Capire che cosa potevo far meglio e questo mi ha fatto essere una persona e un giocatore migliore. Sono stato fortunato ad avere le persone giuste attorno a me, quelle oneste che ti danno qualcosa in più e ti dicono la verità. Così oggi io gioco a tennis e sono felice». E il futuro da numero 1? «Non so che numero 1 sarò, non ho dubbi che rimarrò il ragazzo normale che sono, che qualche volta va anche sul go-kart e fare cose normali con le persone cui voglio tanto bene. Il successo non mi cambierà come persona: è un titolo, un numero, ma finisce lì, c’è la vita normale soprattutto dopo il tennis. Spero di restare numero 1 per un po’ di tempo, se non ci riesco sarò 2 o 3, vediamo che cosa diventerò, ma non mi metto la pressione di dover vincere tutti i tornei dove vado. Posso vincere sì, ma anche no».
IL PERCORSO
Così come rifiuta i social («Non dicono la verità»), Jannik rifiuta l’idea del Superenalotto salvatutti. «Non c’è stata una partita-chiave. Forse quei tre match point in Davis contro Djokovic, o forse no. Ci sono stati tanti momenti ultimamente nei quali ho fatto vedere cose positive, che sono cresciuto in campo. Quello di Malaga con Nole era molto importante per me e per tutta l’Italia. Ma anche a Pechino ho iniziato a giocare molto meglio e solido. Come nella semifinale a Wimbledon, e poi ho vinto Toronto, e anche la finale di Torino. Così ho preso fiducia».
Oggi i quarti donne, con Jasmine Paolini che cerca l’impresa contro Elena Rybakina. L’unico quarto uomini, Zverev-De Minaur. Mentre Ruud ha avuto via libera dalla rinuncia di Djokovic.

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Gabriele Romagnoli su RepL’attesa messianica è finita. L’auto- profezia si è avverata: predestinato da sé stesso, Jannik Sinner è diventato il numero uno del tennis mondiale. Che per riuscirci gli sia bastato a un certo punto perfino fermarsi mentre gli altri mettevano la retromarcia per parcheggiare alle sue spalle è un dettaglio, una pignola osservazione dei meccanismi che muovono il dito mentre la luna risplende davanti ai nostri occhi. Lo spiraglio che si era aperto una sera di novembre del 2019 alla Next Gen di Milano è adesso una porta spalancata su Parigi: ogni cosa è illuminata.Quattro anni e mezzo nella vita sono un soffio, nello sport un’era geologica. Hanno trasformato Roger Federer e Rafa Nadal da miti incrollabili sul campo a sherpa griffati su montagne di carta. Hanno indotto Novak Djokovic a tremare davanti alla solitudine generazionale. Hanno decretato che Alcaraz va veloce, come Marc Marquez, ma altrettanto velocemente può passare. Hanno pompato e sgonfiato sfidanti come mantici. A metà del cammino, nell’estate meravigliosa del 2021, ci è stata pure concessa una scappatella in calesse con Matteo Berrettini, anche se sapevamo non sarebbe durata. L’uomo dei sogni è sempre stato Jannik, giuriamolo sul senno di prima o poi. Prima o poi doveva succedere: basta vivere abbastanza e vedi vincere un altro mondiale di calcio, uno scudetto al Napoli senza Maradona, un’elezione al partito che non c’era, a quello che non passava sotto l’arco, forse perfino a quell’altro, comunque si chiami per non farsi riconoscere. E così doveva arrivare un’altra estate del ’76, quella di Adriano Panatta, ma un po’ più lunga; un’altra Davis, ma senza polemiche. Eppure quattro anni e mezzo fa era impensabile il primo tennista italiano che li mette in fila tutti e, pur con estrema gentilezza, non ne fa passare uno.
Anche soltanto l’anno scorso, a Parigi, non l’avremmo immaginato: Sinner lo si dava per disperso, svanito cercando un altro sé, che giocasse diversamente, ma aggiungendo e non sostituendo. Da Bordighera a Montecarlo la distanza è breve e infinita: in mezzo ci sono modi di stare al mondo, distrazioni non soltanto fiscali e riflessi nello specchio che possano accecare. È difficile, ma che sollievo provoca, dire adesso che abbia sempre avuto ragione lui. Che bisognava smettere di parlare la lingua dei padri per trovare le parole più adatte; bisognava anche lasciarli e non voltarsi, non cedere a nessuna retorica: se la patria chiamò e il ragazzo non rispose, che chiami più forte. Quel che contava non era forse la realizzazione del desiderio individuale e collettivo? Lui voleva diventare il numero uno. Il popolo voleva un numero uno per appuntarselo al petto, per trarne auspici e dire ai figli che c’è una lezione in questo,ma deducetela voi.
Jannik era devastante all’esordio, ma è un altro tennista adesso. Sarà anche vero che il capolavoro è già nel marmo, ma a volte bisogna immaginarlo differente e intervenire sulla testa prima che sul braccio, convincendosi che la sola cosa sbagliata è non provare. Quando nella melodia del gioco sono entrate le variazioni, la musica è cambiata definitivamente e il cammino è apparso segnato. L’attesa è diventata quella diun evento non probabile, ma sicuro, come uno scudetto a cui mancano soltanto la matematica e la giornata giusta. Certo, noi cultori del mezzogiorno di fuoco e del play-off avremmo preferito fosse successo in qualche scontro diretto con Djokovic, al quinto set, dopo qualche match point annullato. Déjà vu, il fato cerca nuove forme di compiacimento. E vada per questa allora: è bastato un turno in più, un’anca riparata contro un ginocchio che cede. Il conteggio si fatica a spiegare ma si accetta, perché l’esito piace. Si accolgono senza fiatare ben altri dogmi: dalla transustanziazione all’auditel. Anche a occhio nudo e profano dall’autunno il più forte è quello col foliage in testa. Sostiene Becker che Djokovic ha cominciato a scendere dalla vetta quando Sinner lo ha sconfitto in Australia, togliendogli la fiducia in sé stesso, e probabilmente è vero. Dunque non è ruzzolato Novak, lo ha sgambettato Jannik. Se vincerà il Roland Garros sarà piena gloria, ma già ora numero uno è quello che numero uno risulta.
In Italia non è che al momento ce ne siano molti, non alle premiazioni internazionali, dal Nobel all’Oscar. Non ci sono fenomeni negli sport di squadra: palloni d’oro, non ancora concepiti. Lontano è Pantani, di qualunque materia fossero fatti i suoi sogni. Ci sarebbe Pecco Bagnaia, ma lì si è reduci dall’indigestione di Valentino, mentre nel tennis da un lungo digiuno. Per cui: a tavola! Una sola avvertenza: evitare di mangiarlo vivo, di pretenderne un pezzo ciascuno, di mettergli un marchio per centimetro, di sciuparlo nel troppo commercio, con troppe parole, fino a farne una stucchevole onnipresenza. Il numero uno sta solo, sul cuor della terra rossa. E sa custodirsi da sé.
***Adriano Panatta peril Cds
Tirare forte sulle righe, a tennis si vince così. Jannik Sinner lo sa fare meglio di tutti in questo momento. Ed è per questo che è diventato numero uno. È il più forte. Vi sono altri modi per dirlo? Non è un leader per caso, non potrebbe esserlo. Neanche il fatto che l’evento si sia compiuto in questa strana giornata cominciata da numero due e finita un gradino più su, toglie qualcosa al percorso compiuto da Jannik in questi pochi mesi che dallo scorso settembre a oggi l’hanno portato dal numero sette della classifica sulla vetta del nostro sport. Ha vinto e ha battuto tutti, più volte. Pechino, Vienna, la finale delle Finals a Torino, poi la conquista della Davis. E poi gli Australian Open. Al Roland Garros è giunto dopo un infortunio che poteva avere conseguenze peggiori e ha scalato il tabellone fino alle semifinali, le sue prime in questo torneo. Le vittorie sono trentatrè, le sconfitte appena due, e una delle due giunta dopo un clamoroso errore arbitrale (a Montecarlo).
Sono numeri da campione. Anzi, numeri da primato. Non c’è casualità in questa scalata che ha affrontato per arrivare lassù. Credo, anzi, che Sinner giunga all’appuntamento con il gradino più alto del podio pienamente consapevole della sua forza, del proprio valore. L’avevo detto più volte, nei mesi scorsi. Gioca da numero uno, lo diventerà presto, per certi aspetti lo è già... Sensazioni che ti circolano dentro, più importanti dell’ufficialità stessa che verrà dalla classifica di lunedì prossimo. I numeri del tennis sono spesso complicati, e non viaggiano veloci come le convinzioni che accompagnano gli eventi. Bastava guardarlo, il giovane Sinner. Anzi, è stato bello seguirlo match dopo match, e vederlo crescere, trasformarsi da ragazzo a uomo, cambiare nelle espressioni, nei modi di fare, di affrontare gli avversari e anche di parlare in pubblico. Il primo ad annunciarmi la lieta novella fu un ex tennista che sapeva giocare bene, Andreas Fink. «Lassù, sulle montagne c’è un ragazzino talmente forte che potrà diventare il nuovo numero uno». Mi parlava di un bimbo e non potei risparmiarmi una battuta... «Ci arriverà sciando?». Ci ho ripensato in questi giorni, la battuta ci stava, ma Andreas aveva visto giusto. Eppure, non c’è predestinazione nella nuova conquista di Sinner. C’è lavoro, attenzione, preparazione, certo anche sacrificio. C’è una voglia davvero particolare di fare le cose per bene. Il bel team che lo segue gli ha dato una mano. Ma condurre un tennista sulla vetta del nostro sport non è mai un punto d’arrivo. Piuttosto è l’inizio di una seconda vita sportiva, che presenterà nuove difficoltà e dovrà essere coadiuvata da nuovo studio e nuovi sacrifici. Al numero uno si chiede di vincere, e a Sinner chiederanno di farlo da questo Roland Garros. Si chiede di stare lassù il più a lungo possibile. Aumenteranno i guadagni, certo, ma anche le responsabilità. Dovrà diventare numero uno dentro.

Djokovic a parte, se mai tornerà competitivo come un tempo, gli avversari di lungo termine si restringono ad Alcaraz, forse a Zverev. Poi ci saranno quelli di giornata e a breve si presenteranno quelli del futuro. Ma al momento non c’è chi possa batterlo. Se ho imparato a conoscerlo, aver raggiunto la vetta è una nuova sfida che Sinner ha tutta l’intenzione di vincere.