il Giornale, 5 giugno 2024
Il grande sogno di Marzotto
Prima di lui ci sono 5 generazioni d’imprenditori illuminati che nel 1836 fondarono un lanificio in provincia di Vicenza. Matteo Marzotto ha ancora la residenza a Valdagno dove 188 anni fa è cominciata la storia della sua famiglia nella moda. Lui stesso lavora da una vita nell’ambiente essendo entrato giovanissimo nel Gruppo Marzotto dove ha ricoperto diversi ruoli operativi per poi diventare prima direttore generale e quindi presidente di Valentino fino alla vendita della griffe a Permyra. In seguito ha acquistato e rilanciato lo storico brand francese Vionnet e il marchio di jeans e abbigliamento informale Dondup. Nel bel mezzo della pandemia ha fondato MinervaHub, una nuova realtà industriale che in brevissimo tempo è diventata il principale gruppo italiano nel comparto delle finiture, dei materiali e dei servizi per gli accessori del fashion luxury. Matteo oggi è il presidente di questo conglomerato di aziende specializzate in tutto ciò che serve per produrre i preziosi manufatti del made in Italy. Si tratta per ora di 23 realtà che insieme costituiscono una piattaforma di eccellenze con un portafoglio di oltre 1000 clienti tra cui 20 dei top luxury brand del mondo, un giro d’affari che con l’ultima acquisizione supera i 250 milioni di euro di ricavi e vanta 1200 dipendenti diretti. 11 mesi fa nella compagine societaria è entrata la San Quirico S.p.a. della famiglia Garrone Mondini di Genova che ha rilevato il 75% delle azioni riconfermando la presidenza di Matteo che per primo ha pensato a un nuovo modello imprenditoriale nel Made in Italy battezzandolo «Artisandustrial».
Da dove è partito?
«Da un dato di fatto: noi italiani abbiamo sviluppato la meravigliosa capacità di usare le mani e il cervello fin dal Medioevo. Già allora c’erano le corporazioni perché gli artigiani sono come le colonne: insieme diventano templi ed edifici meravigliosi, da sole a lungo andare si trasformano in ruderi. Insomma l’unione fa la forza: il nostro artigianato non può vivere e prosperare senza fare i prodotti nei tempi, nelle quantità e con la qualità che il mercato reclama».
Quali sono state le prime acquisizioni?
«Due aziende di Arezzo: la Galvanica Formelli da cui si riforniscono tutti i marchi che sui loro costosissimi manufatti mettono borchie, decorazioni e componenti metalliche e Zeta Catene che produce 1700 diverse tipi di catene e con noi ne ha brevettata una a dir poco rivoluzionaria. Poi è arrivata la Koverlux di Bergamo che si occupa di nobilitare oggetti nei più svariati materiali (carta, metallo, plastica, legno e pelle) con tecniche che vanno dalla smaltatura alla diamantatura, dalle decorazioni al laser alla semplice verniciatura».
Bello, anzi bellissimo, ma non le manca l’emozione di una sfilata o di vedere il proprio nome o marchio che sia nell’empireo della moda?
«Francamente no. Sono stato prima cliente di alcune aziende che oggi fanno parte di MinervaHub e ho sempre avuto voglia di saperne di più. Ho scoperto così che la parte interna dei tacchi a spillo è una vera e propria componente ingegneristica che pochi sanno fare come si deve. In portafoglio ci sono aziende che conosco da sempre come la Jato 1991 di Bologna da cui provengono i ricami più spettacolari del mondo. Ma poi c’è una meravigliosa azienda marchigiana che produce stampi per l’EVA, un materiale plastico a base di polietilene con cui si fanno sneaker oppure scarpe e borse da spiaggia tanto leggere quanto indistruttibili».
Non dev’essere facile tenere sotto controllo tante unità produttive diverse e soprattutto sparse in tutta Italia...
«Sono sempre in giro a dir la verità, ma il bello e il ben fatto italiano viene da una serie di distretti produttivi nati spontaneamente nelle nostre regioni. Ormai abbiamo aziende in Veneto, Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Marche, Basilicata, Campania e Puglia».
Andrà a fare acquisti anche in Sicilia dove fabbricano i migliori double del mondo?
«Mai dire mai, la campagna acquisti non è finita».
Come mai ha fatto entrare nella società San Quirico che controlla il 75% delle azioni?
«Sono molto orgoglioso che una grande famiglia di industriali italiani abbia deciso d’investire in questa avventura. Noi compriamo le aziende lasciandole gestire ai fondatori che reinvestono a loro volta in MinervaHub. Ho scelto io questo nome perché la dea Minerva tra le altre cose era la protettrice degli artigiani. Mi è parso bello creare un sistema che offre protezione a chi contribuisce a creare la grande bellezza italiana».