La Stampa, 5 giugno 2024
"Brutta, povera, comunista" Ecco Teresa Noce, madre costituente
Non riusciamo più neppure a immaginarle, vite così. Troppo piene di tutto. Vite memorabili, che hanno visto e patito cose terribili e di contro hanno fatto cose straordinarie. Quella di Teresa Noce è una di queste vite. Lei è stata un gigante, donna unica ed eccezionale, finita tra le dimenticate della Storia. Non si capisce perché. Anzi, forse sì, se leggete fino in fondo questa storia e il romanzo che Valerio Varesi le ha dedicato (Estella, Neri Pozza). Estella era il nome da partigiana che le aveva dato Palmiro Togliatti. Nel 1921 era tra i fondatori del Pci e nel partito la chiamavano anche Madonna Tempesta. Teresa Noce è stata tra le prime 21 donne elette il 2 giugno 1946 all’Assemblea costituente, la prima volta che le donne hanno votato in Italia. È stata tra le cinque madri costituenti (la più nota rimane Nilde Iotti, ma sta scivolando nel dimenticatoio anche lei) che si sedettero al tavolo della commissione dove si scriveva il testo della Costituzione. Nata operaia, autodidatta, è diventata segretaria della Fiot, la Federazione italiana operai tessili (quando il comparto tessile era grande quasi quanto il metalmeccanico). Ha combattuto non solo per diritti delle operaie tessili che rappresentava, ma anche per le condizioni di lavoro delle donne in generale. Parlamentare dal 1948, femminista sui generis, si deve a lei la prima legge per la tutela della maternità in Italia (per la precisione la legge 26 agosto 1950, n.860) che costituì la base della legislazione sul lavoro femminile degli anni Settanta.
Fu lei a ideare e organizzare i famosi treni dei bambini, orfani di guerra o di famiglie così povere e disagiate che non riuscivano ad occuparsene, per portarli in Emilia e affidarli a famiglie che li crescessero e istruissero. Da qui la leggenda metropolitana (messa in giro dalla Chiesa, che si vedeva sottrarre influenza) che i comunisti mangiavano i bambini e la paura di certi piccoli orfani che nelle nuove famiglie si nascondevano quando si metteva sul fuoco la pentola per la pasta.
Ma chi è stata davvero questa donna? Varesi racconta la seconda parte della sua vita, dal dopoguerra in poi, in una curiosa prima persona che ci rende la voce più intima e femminile. E attraverso la storia di Estella racconta anche quella del Pci, dalla fondazione a Berlinguer.
Teresa Noce nasce il 29 luglio 1900 alle Ca’ Neire, il quartiere più povero e malsano di Torino, annerito dal carbone delle ciminiere. La madre è una lavandaia. Lei per la povertà non termina gli studi, fa mille lavoretti, tra cui la sarta. A 16 anni scende in piazza contro la guerra. Nel 1921 è tra i fondatori del Pci. Conosce Luigi Longo e si sposano, contro il volere della madre di lui, che definisce Teresa così: «Quella è brutta, povera e comunista». Una frase che diceva tre verità.
Longo e Teresa sono perseguitati dai fascisti, entrano in clandestinità. Scappano insieme, in esilio prima a Mosca e poi a Parigi. Con Longo ha tre figli, uno muore di meningite mentre Gigi e Giuseppe (detto Putisc) vengono spediti a Mosca e affidati alle cure del partito sovietico. Glieli riporterà indietro Di Vittorio a fine guerra, dopo sei anni che non li vede, e tra madre e figli è anche difficile comunicare perché parlano francese e russo e non italiano. A Parigi, Teresa partecipa alla fondazione di Noi donne, settimanale per sensibilizzare le operaie alla causa comunista. Poi è in Spagna, a combattere contro Franco. Nel 1943 la arrestano di nuovo e la deportano. Fa il giro di molti campi di concentramento, Ravensbrück (il campo delle donne), poi in Baviera a Flossenbürg e infine a Holleischen dove è adibita a lavoro forzato in una fabbrica di munizioni e tenta un sabotaggio diluendo la vernice con l’acqua (racconta la prigionia nel libro Ma domani farà giorno, ripubblicato nel 2019 da Harpo). Una sopravvissuta e una combattente, ma anche una femminista e una ribelle.
Nella sua storia c’è tutto il dramma e il dilemma delle donne del Novecento, che è ancora irrisolto. Tra professione (che per lei era la rivoluzione e le fede nella causa e nel partito, infatti nel 1974 intitolerà la sua autobiografia Rivoluzionaria professionale) e la vita privata, maternità compresa. Una donna troppo libera e ribelle, troppo autonoma per un partito governato dalla disciplina forgiata nella clandestinità.
Quando scopre che il potente Luigi Longo (che poi sarà segretario del Pci dal ’64 al ’72, dopo Togliatti e prima di Berlinguer) la tradisce da anni, chiede la separazione legale, visto che il divorzio ancora non c’era. Erano i tempi in cui Nilde Iotti era costretta a partorire in segreto il figlio di Togliatti (che poi infatti morì precocemente), in cui le donne, per quanto comuniste e lottatrici per l’uguaglianza, non dovevano alzare troppo la testa. Il Pci era bacchettone quanto la Dc.
Così, nel 1953 Teresa legge in un trafiletto sul Corriere della Sera che Luigi Longo ha ottenuto l’annullamento del matrimonio a San Marino. Un sotterfugio borghese, la dichiarazione che il figlio Gigi era nato prima e che quello era stato un matrimonio riparatore, la firma contraffatta di Teresa. Un insieme di pugnalate che lei definisce «dolorose più del carcere, più della deportazione». Si rivolge al comitato centrale del Pci, per denunciare il comportamento di Longo. E quest’ ultimo atto di ribellione le costerà tutto. Prima viene esclusa dalla direzione del partito, poi sempre più estromessa, finché non si ammala, si ritira a vita privata e trova consolazione nei figli, nei nipoti e nella scrittura. Morirà a Bologna il 22 gennaio 1980.
Tra i suoi scritti ricordiamo Layka, cagnetta spaziale, un libro per bambini che ha avuto un notevole successo. Immagina che la bestiola non muoia nel lancio sovietico nello spazio ma approdi in un pianeta di nome Gora (uno dei suoi tanti nomi usati in clandestinità), dove il comunismo si è avverato e i lavoratori hanno raggiunto il benessere e hanno tanto tempo libero da dedicare alle proprie passioni. Più fantascienza che utopia comunista. —