La Stampa, 5 giugno 2024
La rinascita del Regio
Eccolo il nuovo teatro, pronto per il grande giorno. Il sovrintendente era dal 1971 Giuseppe Erba, famoso e intraprendente impresario teatrale torinese, uno che sapeva come si fa a richiamare l’attenzione su un evento. Dunque, ecco l’ultimo problema da risolvere: dopo 37 anni si riapriva il teatro più importante della città, finalmente ricostruito da cima a fondo. Già da mesi Erba studiava che cosa fare. Ci voleva un’invenzione, un colpo di scena. Un compositore vivente italiano? Seee, poi sai che discussioni: hai scelto quello, perché non quell’altro, quell’altro ancora era più bravo, non si finisce più. Perché non puntare in alto? Possiamo chiamare ad esempio Leonard Bernstein, e chiedergli di comporre un’opera per il Teatro Regio.
Signorina, mi chiama Leonard Bernstein? Sì Bernstein… sì, quello di New York. Pronto Leo? Sono Giuseppe, da Torino, ti ricordi? Bene bene, sto bene, e tu? Senti Leo, dobbiamo inaugurare il nuovo teatro, è bellissimo, devi venire a vederlo. Ma ce la comporresti un’opera per l’inaugurazione? Come? Lo faresti volentieri? Pronto? Come? Ah, sì, capisco… ci hai messo 15 anni a comporre West Side Story… e beh, sì ci vuole tempo…Quanto? 10 anni, con tutti gli impegni che hai? No, non abbiamo tutto questo tempo… sì, sì, dovevo chiedertelo prima. No, non voglio sapere quanto costerebbe, ho già abbastanza dispiaceri. Ciao Leo, fatti vivo se vieni in Italia, sì, anch’io se vengo a New York.
Un nome, ci voleva un nome, mancava un nome, un nome che finisse sui titoli dei giornali non solo in Italia, ma anche in Europa, anche nel mondo. Ma aspetta un momento… perché no? La Maria, la Maria, la Maria Callas. La Callas? Ma come? Tutti sanno che la Callas non canta più. Sìììì, ma eccola qui la novità: la Callas che, finito di cantare, diventa regista. La sua prima regia, al nuovo Teatro Regio di Torino, che grazie a lei si riapre con il botto. Nell’estate del 1972 Erba è a Parigi, e suona al campanello di Avenue Mandel. Sotto al braccio tiene un persuasore occulto che si è portato da Torino: una scatola di cioccolatini di Peyrano. Erba la lusinga e la convince che, finita una carriera, ne può cominciare un’altra: gli applausi che ricevevano Visconti e Zeffirelli non erano meno intensi di quelli che riceveva lei.
E l’opera? A questo punto non aveva più una grande importanza. Il maestro Gianandrea Gavazzeni, già contattato per dirigerla, aveva suggerito I Vespri Siciliani di Verdi, che la Callas conosceva bene. E le scenografie? Anche per quelle ci vuole un nome, un pittore, che so, un De Chirico, o magari un Guttuso, così i comunisti non faranno critiche. O Aligi Sassu? Ma sì, Sassu è un’ottima idea: antifascista, incarcerato, alla sinistra piacerà anche lui, ed è pure bravo. E i cantanti? Be’, la RCA ci sta sfinendo per mandarci la sua nuova star, la Katia Ricciarelli, ma per fare Elena forse è meglio quella giovane rumena, la Raina Kabaivanska.
La Callas si prepara, professionale come sempre. Studia la partitura, viene a Torino a vedere il cantiere del teatro, ma fa anche sapere che vuole al suo fianco Giuseppe Di Stefano, il compagno di tanti trionfi e, dicevano le malelingue, adesso anche il compagno della vita lungo il viale del tramonto. Ma Di Stefano ha litigato con Gavazzeni, non si parlano, lo chiama “quel Signore” e non vuole rivederlo mai più. Se non viene Di Stefano non verrà neppure la Callas e addio sorpresa, addio colpo di teatro. Gavazzeni capisce e si ricorda improvvisamente di avere un altro impegno per il giorno dell’inaugurazione. Nessun problema, un direttore si trova. Cercano Francesco Molinari-Pradelli, ma è impegnato a New York. Erba punta allora su Vittorio Gui, molto esperto e celebrato. Esperto? Certo, Gui è il più esperto che si possa trovare: è nato nel 1885! Speriamo bene.
I negozi e gli atelier di moda hanno un sacco di lavoro, il parrucchiere Carlo in via Maria Vittoria non fa altro che pettinare e coiffare, coiffare e pettinare, e far dire al telefono che, mi spiace, non c’è più posto. Sotto il casco della permanente le madame si interrogano: tu che cosa ti metti? E se poi ci tirano le uova come è successo alla Scala con quel Capanna? Da Carlo, si è saputo, va anche la Callas: che acconciatura avrà? Come si vestirà? Si domanda la grande esperta di bon ton Lucia Sollazzo sulla Stampa. E in teatro che succede? Niente di bello, come sempre prima di una prima. A cinque giorni dal grande giorno il Maestro Gui si è sentito male. Non amava i balletti nelle opere liriche e durante le prove una ètolie, Natalia Makarova, esasperata dai tempi troppo lenti, si era permessa di redarguirlo tra una piroetta e l’altra: «Maître, vite, vite». In camerino Gui era crollato e l’avevano portato in ospedale, sostituendolo con Fulvio Vernizzi, il direttore artistico.
La Callas non è più la Divina, ma è sempre un mito e in teatro c’è grande rispetto per lei. Ma non sa nulla di regia, è evidente a tutti. Ci vede poco e deve stare sempre in palcoscenico, perché quando va nella fila 10, dove c’è il banco di regia, scorge appena la buca dell’orchestra. Sul palcoscenico non c’è un regista, ma un gruppo di cinque sei persone che gesticolano, sussurrano, confabulano. La Maria era sempre alla mano e disponibile, salvo quando arrivava in visita a Torino la moglie di Di Stefano, e allora si rabbuiava ed era di cattivo umore per tutto il giorno.
Lo spettacolo venne come poteva, in un teatro nuovo non ancora completamente ultimato, con le macchine che nessuno aveva mai provato, senza una vera regia, con tre su quattro direttori che si erano ritirati e tutti gli altri guai che sempre capitano quando si prepara un’opera lirica. Le critiche sui giornali furono impietose, ma che importa. Anche la Callas la prese con spirito. Quando le lessero un titolo che diceva “Tonfo della Callas con i Vespri” commentò: «C’è un errore di stampa: mancano la r e la i, volevano scrivere trionfo». —
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Eccolo il nuovo teatro, pronto per il grande giorno. Il sovrintendente era dal 1971 Giuseppe Erba, famoso e intraprendente impresario teatrale torinese, uno che sapeva come si fa a richiamare l’attenzione su un evento. Dunque, ecco l’ultimo problema da risolvere: dopo 37 anni si riapriva il teatro più importante della città, finalmente ricostruito da cima a fondo. Già da mesi Erba studiava che cosa fare. Ci voleva un’invenzione, un colpo di scena. Un compositore vivente italiano? Seee, poi sai che discussioni: hai scelto quello, perché non quell’altro, quell’altro ancora era più bravo, non si finisce più. Perché non puntare in alto? Possiamo chiamare ad esempio Leonard Bernstein, e chiedergli di comporre un’opera per il Teatro Regio.
Signorina, mi chiama Leonard Bernstein? Sì Bernstein… sì, quello di New York. Pronto Leo? Sono Giuseppe, da Torino, ti ricordi? Bene bene, sto bene, e tu? Senti Leo, dobbiamo inaugurare il nuovo teatro, è bellissimo, devi venire a vederlo. Ma ce la comporresti un’opera per l’inaugurazione? Come? Lo faresti volentieri? Pronto? Come? Ah, sì, capisco… ci hai messo 15 anni a comporre West Side Story… e beh, sì ci vuole tempo…Quanto? 10 anni, con tutti gli impegni che hai? No, non abbiamo tutto questo tempo… sì, sì, dovevo chiedertelo prima. No, non voglio sapere quanto costerebbe, ho già abbastanza dispiaceri. Ciao Leo, fatti vivo se vieni in Italia, sì, anch’io se vengo a New York.
Un nome, ci voleva un nome, mancava un nome, un nome che finisse sui titoli dei giornali non solo in Italia, ma anche in Europa, anche nel mondo. Ma aspetta un momento… perché no? La Maria, la Maria, la Maria Callas. La Callas? Ma come? Tutti sanno che la Callas non canta più. Sìììì, ma eccola qui la novità: la Callas che, finito di cantare, diventa regista. La sua prima regia, al nuovo Teatro Regio di Torino, che grazie a lei si riapre con il botto. Nell’estate del 1972 Erba è a Parigi, e suona al campanello di Avenue Mandel. Sotto al braccio tiene un persuasore occulto che si è portato da Torino: una scatola di cioccolatini di Peyrano. Erba la lusinga e la convince che, finita una carriera, ne può cominciare un’altra: gli applausi che ricevevano Visconti e Zeffirelli non erano meno intensi di quelli che riceveva lei.
E l’opera? A questo punto non aveva più una grande importanza. Il maestro Gianandrea Gavazzeni, già contattato per dirigerla, aveva suggerito I Vespri Siciliani di Verdi, che la Callas conosceva bene. E le scenografie? Anche per quelle ci vuole un nome, un pittore, che so, un De Chirico, o magari un Guttuso, così i comunisti non faranno critiche. O Aligi Sassu? Ma sì, Sassu è un’ottima idea: antifascista, incarcerato, alla sinistra piacerà anche lui, ed è pure bravo. E i cantanti? Be’, la RCA ci sta sfinendo per mandarci la sua nuova star, la Katia Ricciarelli, ma per fare Elena forse è meglio quella giovane rumena, la Raina Kabaivanska.
La Callas si prepara, professionale come sempre. Studia la partitura, viene a Torino a vedere il cantiere del teatro, ma fa anche sapere che vuole al suo fianco Giuseppe Di Stefano, il compagno di tanti trionfi e, dicevano le malelingue, adesso anche il compagno della vita lungo il viale del tramonto. Ma Di Stefano ha litigato con Gavazzeni, non si parlano, lo chiama “quel Signore” e non vuole rivederlo mai più. Se non viene Di Stefano non verrà neppure la Callas e addio sorpresa, addio colpo di teatro. Gavazzeni capisce e si ricorda improvvisamente di avere un altro impegno per il giorno dell’inaugurazione. Nessun problema, un direttore si trova. Cercano Francesco Molinari-Pradelli, ma è impegnato a New York. Erba punta allora su Vittorio Gui, molto esperto e celebrato. Esperto? Certo, Gui è il più esperto che si possa trovare: è nato nel 1885! Speriamo bene.
I negozi e gli atelier di moda hanno un sacco di lavoro, il parrucchiere Carlo in via Maria Vittoria non fa altro che pettinare e coiffare, coiffare e pettinare, e far dire al telefono che, mi spiace, non c’è più posto. Sotto il casco della permanente le madame si interrogano: tu che cosa ti metti? E se poi ci tirano le uova come è successo alla Scala con quel Capanna? Da Carlo, si è saputo, va anche la Callas: che acconciatura avrà? Come si vestirà? Si domanda la grande esperta di bon ton Lucia Sollazzo sulla Stampa. E in teatro che succede? Niente di bello, come sempre prima di una prima. A cinque giorni dal grande giorno il Maestro Gui si è sentito male. Non amava i balletti nelle opere liriche e durante le prove una ètolie, Natalia Makarova, esasperata dai tempi troppo lenti, si era permessa di redarguirlo tra una piroetta e l’altra: «Maître, vite, vite». In camerino Gui era crollato e l’avevano portato in ospedale, sostituendolo con Fulvio Vernizzi, il direttore artistico.
La Callas non è più la Divina, ma è sempre un mito e in teatro c’è grande rispetto per lei. Ma non sa nulla di regia, è evidente a tutti. Ci vede poco e deve stare sempre in palcoscenico, perché quando va nella fila 10, dove c’è il banco di regia, scorge appena la buca dell’orchestra. Sul palcoscenico non c’è un regista, ma un gruppo di cinque sei persone che gesticolano, sussurrano, confabulano. La Maria era sempre alla mano e disponibile, salvo quando arrivava in visita a Torino la moglie di Di Stefano, e allora si rabbuiava ed era di cattivo umore per tutto il giorno.
Lo spettacolo venne come poteva, in un teatro nuovo non ancora completamente ultimato, con le macchine che nessuno aveva mai provato, senza una vera regia, con tre su quattro direttori che si erano ritirati e tutti gli altri guai che sempre capitano quando si prepara un’opera lirica. Le critiche sui giornali furono impietose, ma che importa. Anche la Callas la prese con spirito. Quando le lessero un titolo che diceva “Tonfo della Callas con i Vespri” commentò: «C’è un errore di stampa: mancano la r e la i, volevano scrivere trionfo». —