Corriere della Sera, 5 giugno 2024
Così l’Iran manovra all’ombra dei negoziati su Gaza
Teheran manovra nel caso arrivi finalmente una tregua a Gaza. La crisi ha fatto il suo gioco e gli ha permesso di giocare di sponda con le molte milizie sciite.
La Repubblica islamica ha inviato nella regione il nuovo ministro Ali Bagheri, successore di Hussein Amir Abdollahian, morto nell’incidente dell’elicottero insieme al presidente Raisi. Il capo della diplomazia ha iniziato il suo tour a Beirut perché – come ha spiegato – l’Hezbollah è la punta della resistenza contro lo Stato ebraico, da qui l’incontro con il segretario Hassan Nasrallah. Una visita preceduta da un aumento delle azioni dei guerriglieri con il ricorso a un attacco massiccio di droni su Israele effettuato da uno «stormo» di mezzi esplosivi. Un colpo parte del duello con lo Stato ebraico sempre impegnato nell’eliminazione di ufficiali della fazione. La seconda tappa di Bagheri è stata la Siria, alleato importante e piattaforma strategica. Anche qui la cornice è la stessa: gli israeliani hanno eliminato nelle scorse ore un «consigliere» dei pasdaran.
Le tensioni sono evidenti, lungo un orizzonte ampio. La Guida suprema Ali Khamenei, pochi giorni fa, ha esaltato l’assalto palestinese del 7 ottobre perché ha provocato lo stop al dialogo tra Tel Aviv e le monarchie sunnite del Golfo Persico. Un elogio pubblico che potrebbe dare ragione a quanti pensano che l’eccidio nei kibbutz sia stato ispirato dagli ayatollah, decisi a ostacolare il disgelo. Analisi non condivisa da coloro che ritengono un ruolo importante, però, secondario degli iraniani. Secondo questa interpretazione l’Iran ha solo sfruttato l’offensiva decisa unicamente da Hamas.
Il fronte libanese
Hezbollah resta la punta della resistenza
contro lo Stato ebraico: i raid continuano
La sortita dell’ayatollah non è piaciuta al presidente palestinese Abu Mazen che non ha esitato a denunciarla. «Stano usando il nostro sangue», ha affermato in modo polemico. Osservazione per sottolineare come l’Iran si nasconda dietro il supporto alle componenti più estreme per allargare la sua influenza, contrastare i nemici regionali, ribadire il proprio ruolo. Le possibilità di pace o guerra passano anche da Teheran grazie al rapporto speciale con le fazioni amiche, in possesso di sistemi con i quali modulare gli interventi in base alle necessità e agende particolari. Nello Yemen, gli Houthi mantengono la pressione costante sulla rotta marittima, quasi 200 gli episodi con il ricorso a droni e missili. Portano avanti i loro piani e, allo stesso tempo, agiscono in parallelo agli iraniani. Decidono in autonomia, però quando serve collaborano con il regime che li sostiene.
Sono cauti gli Hezbollah. Devono evitare lo scontro totale con Israele – principio ribadito martedì dal numero due Naim Qasem – senza però rinunciare a dimostrare la loro forza. E sul piano tattico è interessante notare come allunghino il raggio d’azione dei loro equipaggiamenti mentre hanno migliorato le difese antiaeree. Lo scenario libanese resta sempre in bilico, con ricorrenti indiscrezioni su una conflagrazione maggiore durante le prossime settimane, a partire dalla metà di giugno. Pur periferiche, sono pronte le «brigate» operanti in Iraq, con l’arsenale che consente di innescare le provocazioni. Sono lo specchio dello sponsor iraniano, lo strumento perfetto di un conflitto per procura dove l’Iran cerca di ricavare il massimo senza rischiare in proprio.
A Teheran non auspicano la guerra diretta e neppure la desiderano, per questo lasciano che siano i militanti dell’Asse sciita a bruciarsi. E a proposito di fiamme, un vasto incendio ha avvolto zone israeliane al confine con il Libano, a causare il rogo è stato un razzo. La rappresentazione di ciò che potrebbe accadere.