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 2024  giugno 05 Mercoledì calendario

Intervista a Gianluca Grignani

«Scusi se fumo, sono sveglio da poco». Ore 12 e 15, Gianluca Grignani, occhiali da sole e capelli legati, è in videochiamata dalla casa che ha trasformato in studio di registrazione. L’occasione è l’uscita di Residui di rock ‘n’roll, la sua autobiografia pubblicata dalle edizioni San Paolo.
Per due volte smetterà di parlare: la prima per prendere la chitarra – «da 130 euro ma il microfono con cui la registro costa molto di più» – su cui esegue un suo inedito. Molto bello.
La seconda per accompagnarci in un video-tour tra le lavagne su cui prende appunti e i macchinari del suo studio di registrazione: «Avrei potuto mettere alle pareti tutti i miei dischi d’oro e di platino. Ci ho messo i cavi per far passare la musica».

Grignani, nel libro le racconta tutte. Anche l’arresto del 2014.
«Era importante che le persone conoscessero la mia versione su quello che è successo durante quella cena in estate con amici e familiari. È tutto scritto lì».
Dedica molte pagine ai suoi genitori. Sua madre voleva che lei diventasse “duro come un pezzo di cuoio”.
«Ha dato i natali al mio “Io”. Parlava poco ma da piccolo mi ha fatto conoscere Eric Clapton e a casa aveva molti libri. Ricordo a sette anni, ero malato a letto e lessi tutto d’un fiato il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde».
Quella durezza le è servita in trent’anni di carriera?
«Non mi prenda per presuntuoso ma a qualcuno devo pur ispirarmi: John Lennon una volta disse che i Beatles avevano inventato quello che non c’era. Negli anni Novanta ho inventato qualcosa anche io. Solo che ero come un bambino che gridava in una culla. Adesso so come funzionano le cose».
Sta lavorando al nuovo disco?
«Residui di rock ‘n’roll sarà un triplo album e le assicuro che sconvolgerà dei meccanismi. Sarà come Destinazione Paradiso e come La fabbrica di plastica. Con la differenza che oggi non sono più così incosciente».
In effetti negli anni Novanta un po’ lo era: una volta è scappato in Sudamerica.
«E poi in Giamaica. Tornai a Londra per vedere dei discografici. Avevo fatto i capelli rasta e passai da un parrucchiere per sistemarli, erano troppo intrisi di catrame. Decido di tagliare tutto e di farmi biondo platino. Solo che nell’ufficio dei discografici c’era anche Franco Battiato. Mi vide e fece una mossa alla Mick Jagger».
Non male come scena. Mai pensato di trasformare la sua vita in una sceneggiatura?
«Sarebbe noiosa. Molto meglio fare un parco a tema sulla mia vita. Anzi, forse meglio un’app».
Per farci cosa?
«Per rivivere uno dei miei incontri con Pino Daniele, per esempio».
Racconti.
«Entro nel camerino dopo un suo concerto per salutarlo. Gli chiedo: “Pino, ci facciamo una canna?”. Risposta: “Guagliò, io nella mia vita mi sono già fumato tutti i Campi Flegrei…”».
Altro di considerevole?
«Ero a un concerto dei Pearl Jam. Eddie Vedder sul palco completamente ubriaco, il suono della band si sentiva malissimo, ero circondato da persone che pogavano e lo facevano anche male. E a un certo punto da chi mi sento chiamare? Da Lucio Dalla. Era lì, si stava divertendo. Mi ha insegnato a non aver paura».
Lei cosa cerca di insegnare ai suoi figli?
«Non saranno come me e credo, per ora, di essere riuscito a difenderli. Molti dei miei colleghi non ci riescono ma il mio obiettivo più grande è tenerli lontano dalla “sgretolazione” che può arrivare dalla fama. E poi mi aiutano».
In cosa?
«Vivo un periodo non facile. La depressione porta a chiederti se ciò che hai fatto e ciò che farai è abbastanza. Ma loro mi danno tutta la forza necessaria per reagire».
Ha trovato la forza, nel libro, anche di raccontare cose spiacevoli.
«C’è un capitolo, si chiama Il mostro ed inizia con un bel po’ di droga in un sacchetto. Anche qui: le speculazioni sono state tantissime. Dovevo raccontare la mia versione. Solo che ho scelto di farlo in maniera quasi narrativa. Anche perché se dovessi essere più preciso farei finire la favola di qualcuno».
Non vuole essere più specifico?
«No, meglio la forma che ho scelto nel libro».
Racconta di essere stato molestato, da piccolo, durante un campo scuola del Coni.
«È successo tanti anni fa ed è stato devastante per me. L’ho fatto per denunciare: queste cose accadono ancora».
Torniamo alla musica. Grignani, quando ascolteremo un suo duetto con Vasco Rossi?
«Ah, io sono qui. Dipendesse da me anche subito».
Mai pensato di fare il giudice in un talent?
«Mi hanno anche contattato. Ma con quel modo da furbetti di chi crede che la televisione sia tutto. Potrei farlo ma solo se la musica fosse messa al primo posto».
Il libro si conclude con delle poesie.
«Ne manca una che ho finito da poco. Ve la mando?».
La poesia arriva in un file word poche ore dopo l’intervista. Si chiama Ma è lì che ti sei fermata.
“Ma è lì che ti sei fermata/Io a te/ Non ho detto mai/ La verità/ Mi sono sempre lasciato/ Un altro pensiero addosso come un vestito che mi calzava/ Ora è ora/ Della Gogna/ Carogna/ Che fai?/ Scappi ancora?/ Lascia almeno giù qualcosa/ che ne so/ Un’ombra/ Sulla quale chiunque possa pisciare”.
Prendere o lasciare ma è puro Distillato Grignani.