La Stampa, 4 giugno 2024
Il Pd modello Berlinguer
La tessera del 2024 con i suoi occhi, che qualche mugugno ha provocato nell’ala cattolica, ex-democristiana, del Pd. La campagna “casa per casa, strada per strada”, proprio come suggeriva lui ai compagni. Altro che “partito della Ztl”. Le fabbriche. Gli ospedali. Le periferie. E adesso anche la piazza, il giorno, l’ora in cui Berlinguer salì per l’ultima volta sul palco di un comizio. «Anche quella era una campagna per le Europee», ha ripetuto Elly Schlein ai suoi collaboratori, prima di insistere sul «modello Enrico» per gli ultimi giorni prima del voto.
Allora, quarant’anni fa, finì che il Pci, sull’onda della scomparsa del segretario, sorpassò la Dc 33,3 a 32,9. Oggi Schlein si accontenterebbe di riuscire a emulare la stessa passione di Berlinguer, di chiamare a raccolta «quell’Italia diversa» di cui parlava quarant’anni fa, «le forze sane della tecnica, della produzione, della cultura, l’Italia delle donne che vogliono cambiare la società», sapendo che i numeri non possono essere uguali, dato che nel 1984 otto cittadini su dieci andavano a votare mentre adesso sono uno su due. E però, secondo la leader del Pd che non era nata quando la sera del 7 giugno 1984 si consumò la tragica fine di Berlinguer, molte cose del suo messaggio d’allora sono perfettamente valide anche adesso.
A cominciare dalla “questione morale”, che Schlein ha riproposto nella battaglia contro i “cacicchi” del potere locale. «Sulla legalità non prendiamo lezioni da nessuno», ha ripetuto, lasciando intendere che non farà sconti. E dalla politica estera, in particolare dalla storica svolta a favore dell’Alleanza atlantica del 1976, quando Berlinguer in un’intervista al Corriere della Sera rimasta famosa affermò di sentirsi «più sicuro sotto l’ombrello della Nato» che non sotto quello di Mosca. E ancora dalla sofferta rottura con il Pcus e il sistema sovietico del “partito padre” o “madre”. Vale appunto – vedi il candidato “indipendente” Tarquinio –, per chi arriva a dire che la Nato andrebbe sciolta. E poi, come ha dimostrato l’applauso a Pescara del pubblico di Fratelli d’Italia, sollecitato da La Russa, Berlinguer è ormai patrimonio di tutti. Una ragione di più per difenderlo da sinistra.
Inoltre c’è qualche episodio, rimasto nell’agenda di Schlein, degli inizi del suo lavoro, dopo l’elezione a sorpresa alla guida del Pd il 12 marzo 2023. La visita a Fincantieri a Castellammare di Stabia, dove un operaio, Rosario Longobardi, imitando Benigni in un’immagine indimenticabile, la prese in braccio dicendole che era pronto a prendere il posto della sua armocromista, «per suggerire il blu delle tute operaie, il più bel colore che ci sia». Il viaggio in un mondo che a Elly non apparteneva, che ha scoperto a poco a poco, lei nata in Svizzera, in parte cresciuta in America e formatasi sul percorso della lotta per i diritti civili, che Berlinguer aveva lanciato fin dal 1978, in un comizio in chiusura della Festa dell’Unità a Genova in cui per la prima volta dichiarò che bisognava battersi contro l’emarginazione degli omosessuali.
Chissà cosa proverà Schlein trovandosi nella stessa Piazza della Frutta, sullo stesso palco, alla stessa ora. Prima di partire per Padova “Enrico”, come lo chiamava il popolo comunista, ebbe una specie di presentimento. La sera del 6 giugno, Achille Occhetto, responsabile della propaganda, era entrato nel suo ufficio a Botteghe Oscure. «Domani sarai a Padova – esordì –. E poi dopodomani a Comiso, in Sicilia». Si fermò un attimo a guardare la faccia di Berlinguer che, tradendo la stanchezza di quei giorni, alzò gli occhi: «Se ce la faccio, se sarò ancora vivo» – rispose.
L’indomani Berlinguer con il capo ufficio stampa Tatò arrivano presto in Veneto. Breve visita al Mattino di Padova, per scusarsi con il direttore Lamberto Sechi di non aver avuto tempo per un’intervista promessa (domande scritte e risposte scritte, alla sua maniera) che sarà completata e spedita l’indomani. E via in albergo, per gli ultimi ritocchi al discorso. Alle nove e mezzo lo vedono inciampare mentre sale i gradini del palco. Un compagno lo aiuta a rimettersi in piedi.
È una serata estiva fresca, lo accolgono la responsabile femminile Lalla Trupia, il giovane segretario cittadino Pietro Folena, il segretario regionale Gianni Pellicani. Si comincia. Berlinguer parla per mezzora a ritmo sostenuto. A ogni attacco al governo (sono i giorni del durissimo scontro con Craxi presidente del Consiglio), seguono gli applausi del pubblico. «Siamo di fronte a un momento… – sta dicendo Berlinguer – di insidie per le istituzioni della Repubblica». È il concetto introdotto all’atto della nascita dell’esecutivo a guida socialista del “governo pericoloso per la democrazia”. D’improvviso però rallenta, e Tatò, che lo conosce bene ed è solo un po’più indietro, si fa strada sul palco perché s’è accorto che qualcosa non va. Berlinguer ha appena il tempo di pronunciare un’altra frase: «Ma è certo che…». Si ferma e beve un po’d’acqua. Dalla piazza urlano: «Sta male, fatelo finire!». Ma lui va avanti lo stesso con voce impastata, accennando alla P2. L’indomani le immagini del leader che cade nell’adempimento del dovere, mentre si sforza di concludere il suo ultimo comizio saranno su tutti i telegiornali. Documento tragico, di fede, di impegno, ma anche della durezza dello scontro politico in corso e delle sue conseguenze.
In macchina Berlinguer è ancora lucido, ma parla a fatica. Vuole andare in albergo, lo accontentano. Tatò lo prende in braccio, lo trasporta in camera, lo adagia sul letto, gli sente il polso e lo rassicura: «Hai un cuore di ferro!». Ma il medico padovano che è con lui, il dottor Giuliano Lenci, lo visita e sospetta qualcosa di grave: come temeva, Berlinguer non risponde più. «È in coma». L’ambulanza corre in ospedale, dove sarà operato subito. Il chirurgo, dopo l’operazione, purtroppo non lascia molte speranze: l’emorragia cerebrale, spiega, «è stata devastante».
L’agonia è terribile, dura quattro giorni e tiene il popolo italiano, non solo quello comunista, incollato alla tv con il fiato sospeso. A Padova è arrivata la famiglia Berlinguer, prima la moglie Letizia, subito dopo le figlie Bianca, Maria, Laura e il figlio Marco. Giunge anche Pertini. Tornerà prima della fine: «Ho perso un figlio, un compagno. Il suo esempio resterà». Spunta Craxi, ma i familiari non vogliono incontrarlo. Arriva il vescovo di Padova, dà la sua benedizione e se ne va. Nel frattempo a Roma la sala stampa del Bottegone, com’è inteso il palazzo della direzione comunista, è gremito giorno e notte di giornalisti e telecamere. La mattina dell’11 è Occhetto a dare l’estremo aggiornamento: «Devo darvi la notizia che purtroppo aspettavate…». È finita. —