il Fatto Quotidiano, 4 giugno 2024
Faida eredità Agnelli: il giallo dei 13 quadri e degli originali spariti
Torino. Diventa un giallo milionario, che corre tra Torino e Milano, la verità sulle opere della Collezione Agnelli finite nell’inchiesta penale sull’eredità della vedova dell’Avvocato, Marella Caracciolo.
Secondo un’annotazione della Guardia di Finanza di Milano, consegnata al procuratore aggiunto milanese Luca Fusco, 13 di quei quadri non sarebbero infatti scomparsi dalle dimore italiane della dinastia (come ha denunciato la figlia di Gianni Agnelli, Margherita), ma sarebbero state donate dalla nonna Marella ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra Elkann e ora sarebbero “rintracciati e rintracciabili” in un caveau della Fiat Security al Lingotto e in Svizzera.
Molto diverso, invece, ciò che emergerebbe dalle indagini che stanno svolgendo la Procura e la Gdf di Torino, dopo un esposto di Margherita contro i tre figli. Un fascicolo, al quale nei prossimi giorni sarà allegato quello di Milano, che ha portato i pm torinesi a indagare i tre Elkann per i “raggiri e gli artifizi” messi in opera per costruire una “inesistente residenza svizzera” della nonna.
Nei sequestri effettuati lo scorso 8 febbraio, i finanzieri avevano visitato anche un caveau nella palazzina storica Fiat del Lingotto, dove erano conservati arredi di valore un tempo presenti nelle residenze dell’Avvocato di Villar Perosa, di Villa Frescot a Torino e nell’appartamento di Palazzo Albertini davanti al Quirinale. Il Fatto Quotidiano e Report, in un’inchiesta giornalistica condotta tra Torino, Roma e la Svizzera, hanno ricostruito però che gli inquirenti torinesi hanno rinvenuto al Lingotto solo due originali, La Chambre di Balthus e il Pho Xai di Gérome, e invece tre copie di modesto valore di altri tre capolavori: il Glacons effect blanc di Monet, La scala degli addii di Balla e il Mistero e malinconia di una strada di De Chirico. Ma dove sono gli originali? Secondo gli Elkann, che hanno risposto a una richiesta di informazioni avanzata da Vittorio Sgarbi quando era ancora sottosegretario ai Beni Culturali e dopo un accesso agli atti di Report al ministero, sarebbero sempre stati a Sankt Moritz, nella villa Chesa Alkyon dell’Avvocato. Per il momento, la Procura torinese sta approfondendo soprattutto le vicende legate alla residenza svizzera di Marella e agli eventuali resti fiscali. Ma è probabile che in un secondo tempo, dopo un primo esame di un consulente, i pm ordinino una perizia per accertare l’esatta datazione delle copie. Se emergesse, infatti, che esse sono state realizzate dopo il 24 gennaio 2003, giorno della morte di Gianni Agnelli, allora le indagini potrebbero estendersi a verificare quando e come gli originali hanno lasciato l’Italia per la Svizzera e sostituiti con le copie. Se fosse mai dimostrato che i tre quadri si trovavano in Italia, allora potrebbe trattarsi di un reato. E anche piuttosto grave: esportazione illecita di opere d’arte, punito dal Codice dei beni culturali con una pena dai 2 a 8 anni di reclusione. Tutto potrebbe essere prescritto: ciò che invece non si prescriverà mai è il diritto da parte dello Stato di rivendicare il rientro delle opere in Italia, con un sequestro. A sostegno delle tesi degli Elkann, secondo la Gdf di Milano, ci sarebbero anche le testimonianze di due segretarie di Marella, Paola Montaldo e Tiziana Russi, e di un altro domestico che avrebbero confermato come la nonna avesse donato quei quadri ai nipoti. Qualcosa che contraddice l’elenco delle opere acquisito dal procuratore aggiunto Fusco nel 2009, in un’altra inchiesta sull’eredità Agnelli, e di cui Report e il Fatto Quotidiano sono entrati in possesso. Una lista ritenuta veritiera da due personaggi chiave: colui che l’ha redatta, Stuart Thorton, storico maggiordomo inglese di Agnelli, ed Emmanuele Gamna, ex avvocato di Margherita che trattò la suddivisione delle opere tra madre e figlia nel 2004. Il documento riporta quotazione (assai al ribasso) e collocazione delle opere. Il De Chirico si trovava a Roma: valore 7 milioni. Il Balla anch’esso era nella Capitale: 2 milioni. C’era infine il Monet che risultava essere a Villa Frescot: 8 milioni. L’originale non si sa dove si trovi.
I quadri di Roma, secondo le testimonianze giurate di altri dipendenti della famiglia, erano lì almeno fino al 2018, quando un trasportatore, il torinese Giorgio Ghilardini, li prelevò: la bolla del trasporto è stata sequestrata dai pm torinesi.
Infine, il professor Lorenzo Canova, direttore scientifico della fondazione De Chirico, ricorda che il suo maestro, l’insigne storico dell’arte Mauro Calvesi, aveva visto l’originale di Mistero e melanconia di una strada nell’appartamento romano dell’Avvocato. “Me lo presterebbe per una mostra”, chiese il critico ad Agnelli. “Preferirei di no, i quadri a volte voglio scambiarli, questo non voglio sia notificato al ministero”, avrebbe risposto il “signor Fiat”. Per ora, sempre la Gdf di Milano afferma che. “dalle consultazioni delle banche dati, in particolare, quelle del Ministero dei Beni Culturali e la piattaforma S.u.e. (Sistema uffici esportazione), non sono emerse né movimentazioni illecite né vincoli”. Margherita Agnelli ritiene invece che le opere le siano state sottratte dall’eredità della madre Marella e, comunque, chiederà la nullità della presunta donazione ai figli. Ma il punto non è questo. Quelle opere, a chiunque spettino, devono rimanere in Italia. Così almeno dice la legge (che fino a prova contraria vale per tutti, anche per i discendenti di quello che era chiamato l’ultimo “principe italiano”).
L’inchiesta giornalistica dei giornalisti di Report e del Fatto Quotidiano sarà presentata in una delle prossime puntate della trasmissione di Rai3 condotta da Sigfrido Ranucci