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 2024  giugno 04 Martedì calendario

Il Me Too mancato a teatro

Shakespeare, abbiamo un problema: mentre il mondo si interroga sul post #MeToo e discute dei danni collaterali, l’Italia è ancora all’aperitivo. Grazie, le faremo sapere: che teatro, il #MeToo mancato.
Almeno dal 2011, un critico teatrale ha esercitato il proprio potere – di stroncatura, di blogger, di votante ai premi Ubu &C., di tramezzino dopo-recita, di iscritto all’Ordine dei giornalisti (Odg) e all’Associazione nazionale dei critici di teatro (Anct)… – per molestare e ricattare una decina di donne, tra artiste e colleghe. Poi però, un anno fa, si è mossa Amleta, associazione che si occupa del contrasto alla disparità e alla violenza nello spettacolo (premio Amnesty 2021). Il loro osservatorio ha raccolto molte testimonianze delle vittime: alcune circostanziate e dettagliate (anonime per proteggerle); altre meno, perché non è stato possibile risalire all’identità delle ragazze – ad esempio importunate sui social con foto di genitali subito rimosse per policy –; o perché le testimonianze di aver subito “ricatti professionali” sono “tantissime” via post, ma da verificare dal vivo; o perché “le critiche negative usate come ritorsione” sono difficili da provare… Lo scopo di Amleta è togliere al critico accusato – anch’egli anonimo – quel potere di stroncatura, di voto, di tramezzino eccetera, che fin qui gli ha permesso di abusare della propria professione per ricattare e/o molestare giovani donne. “Questi episodi – così Amleta ­– dimostrano la serialità, l’abitudine a ‘pensare’ e ‘usare’ il potere in un certo modo e la messa in atto di condotte gravi: molestie sessuali, ritorsioni, atti persecutori”. Tuttavia, a fronte delle decine di mail inviate da almeno quattro mesi dall’associazione ai principali centri di potere teatrali e giornalistici, il “Sistema” non risponde: è inerte; al più balbetta o minimizza.
Le accuse vanno dalle “foto intime agli inviti sessuali, senza che nessuna delle denuncianti intercorresse con il critico una relazione”; da “screenshot del pene” a scatti “a torso nudo nel letto col pube coperto” più abboccamento: “Te lo presto io (il caricabatterie per pc, ndr) se me lo succhi”. E ancora, telefonate ai registi per escludere dal cast la tal attrice ritrosa (alle sue avance, ndr): sennò “non vengo io”, il Roman Polanski delle recensioni; altrimenti non si spiega tutta questa tutela nei suoi confronti. Segue “la testimonianza di un’altra artista che, dopo aver rifiutato le attenzioni dell’uomo, è oggetto di una sua stroncatura”, e ne nasce una discussione. Per paradosso, è lui a “querelare lei per diffamazione”; dopodiché “prende in considerazione il ritiro della denuncia solo se la donna accetta di incontrarlo”. Durante l’appuntamento, “l’atteggiamento di lui ha contorni ambigui. Alla fine lui tenta un approccio sessuale”.
Contattati da Amleta, gli Ubu, gli Oscar del teatro, rispondono a nome del Direttivo: “Molte grazie. Abbiamo letto con attenzione e preoccupazione e abbiamo avviato una seria discussione interna… Se avrete altra documentazione diventerà senza dubbio materiale di discussione. E a presto per riaggiornarci”, en attendant Godot. All’ennesima sollecitazione del Fatto, interviene il presidente Jacopo Quadri: “Critici e studiosi che partecipano alle votazioni non sono necessariamente soci dell’Associazione Ubu. Smentisco qualsiasi voce o denuncia relativa ai nostri iscritti. La lista dei (nuovi) referendari viene discussa entro settembre”. Pure Anct – che assegna altrettanti prestigiosi premi – nicchia: “Stiamo valutando il da fare, data la delicatezza degli argomenti e la necessaria privacy. Pur ribadendo il nostro disappunto e il nostro impegno a condannare ogni possibile abuso degli associati. Resta comunque sospesa la partecipazione all’attività da parte del socio fino a quando non sarà chiarita la sua delicata posizione”. Sospeso da che? Il presidente Giulio Baffi non risponde; anzi lascia intendere che la stessa Anct sia parte lesa: “Valutiamo l’opportunità di dare incarico a un legale che tuteli il nostro buon nome… in merito a ogni possibile vulnus ”. Infine sottolinea che “la copia della sentenza pervenuta è documento di chiusura di una pendenza per non meglio specificati ‘molestia e disturbo’”. Era stata la stessa Anct a chiedere almeno una “pezza giuridica” contro il loro associato. Peccato che poi non l’abbiano letta: lì vi si trova il numero dell’articolo del Codice penale del reato punito per Legge (660 Cp); il Tribunale che ha emesso la sentenza (Milano, prima Sezione penale, 2018); l’estinzione del reato di “molestia, per petulanza o biasimevole motivo”, previo “pagamento dell’oblazione”. Questa sentenza del 2018 – risalente a condotte del 2015 – proviene da una giornalista contattata sei mesi fa da Amleta come una delle vittime: la collega allora ha sollecitato il Consiglio di disciplina dell’Odg Toscana, a cui il critico è iscritto. Prima risposta: “Il presidente Gianfranco Borrelli ha dovuto disporre l’archiviazione dell’esposto in quanto i fatti sono caduti in prescrizione”. Quel documento legale, però, è solo uno dei tasselli – oltretutto il meno fallace – della storia: così la cronista riscrive più volte, spiegando l’intero caso coi dettagli delle altre vittime. Seconda risposta: “I fatti successivi al 2018 non risultano adeguatamente documentati: non ci sono gli elementi minimi per una nostra valutazione”. Ecco allora nuove sollecitazioni, anche da parte di Amleta: la terza risposta non è mai arrivata.