il Fatto Quotidiano, 4 giugno 2024
Grand Tour in case editrici tra libri, gaffeur e “merda”
Sabato 26 agosto 1950, a Torino: poco prima di uccidersi, Cesare Pavese passa alla sua casa editrice, l’Einaudi, in via Biancamano 1. Trova un grafico. Gli chiede di Oreste Molina, di Giulio Einaudi, di Giulio Bollati. Sono tutti in ferie. Allora su una lavagna scrive “merda”. Tutto è solitudine, anche quella “casa”, la sua vera casa, in cui lo scrittore ha lavorato per anni dalle otto del mattino alle dieci di sera.
Alle “case” (editrici) d’Italia, ai luoghi di autori ed editori, Roberto Cicala – docente all’Università Cattolica, editore egli stesso (di Interlinea) – ha dedicato un libro: Andare per i luoghi dell’editoria (Il Mulino), frutto di un viaggio originale dal Piemonte alla Sicilia alla scoperta di edifici e stanze, di ieri e di oggi, in cui sono nate e nascono le parole stampate. Un vagabondaggio, spiega Cicala, lungo “un percorso ideale e comunque molto soggettivo con tappe nelle città dove si concentrano le maggiori sigle editoriali, che testimoniano come la forbice degli sconsolanti dati sulla lettura degli italiani indica una divisione tra nord e sud che non riguarda la passione, l’intelligenza e la creatività di piccole, medie e grandi imprese distribuite dappertutto”. Un itinerario, aggiunge, “proposto all’interno di una collana dedicata ai luoghi iconici dell’Italia nell’anno in cui il suo editore (Il Mulino, appunto, ndr) festeggia 70 anni di attività”.
Si parte dalla Torino dello Struzzo, l’Einaudi, che nasce in una “casa” già sede dell’Ordine Nuovo di Antonio Gramsci, e si prosegue con Pomba, Sei, Bollati, Utet. Non manca il palazzo di via Fabro 6, dove Piero Gobetti, prima che il fascismo lo costringesse all’esilio, aveva cominciato come “editore ideale”. Si viaggia quindi da Venezia a Bologna, da Firenze a Roma, da Bari a Palermo e Caltanissetta. Di mezzo, naturalmente, c’è Milano. Non solo la città di Arnoldo Mondadori (via Bianca di Savoia 20, Segrate), di Angelo Rizzoli (piazza Carlo Erba, via Civitavecchia), di Giangiacomo Feltrinelli (via Andegari), di Edilio Rusconi, di Valentino Bompiani, di Giambattista Sonzogno, di Ulrico Hoepli, di Emilio Treves… ma anche la Milano più vecchia di Giacomo Leopardi dove – scrive il poeta al padre Monaldo – “si stampa quel che si vuole”. Antonio Fortunato Stella è lo stampatore dei suoi esordi lirici, rammenta Cicala, “nella sede di contrada Santa Margherita, il quartiere di tipografi e librai tra la Scala e piazza dei Mercanti, molto frequentato anche da Alessandro Manzoni e oggi presidio delle banche”.
Molte le storie eroiche, come quella del gran commendatore Rizzoli: nelle riunioni in piazza Carlo Erba, ricorda Oreste del Buono, “Rizzoli si faceva raccontare le trame facendo confusione con i nomi, tanto che una volta chiese in dialetto: ‘Ma chel Tolstoi lì l’è minga el Dostoieski?’”. E via con altri aneddoti e curiosità in zona Laguna; Erasmo da Rotterdam ce ne consegna una: “A Venezia portavo con me nient’altro che l’indistinta e confusa materia dell’opera futura… Con la mia grande temerarietà ci siamo lanciati insieme in entrambe le imprese: io nello scrivere, Aldo Manuzio nello stampare”. Era il 1508. Erasmo sceglie la Serenissima per pubblicare i suoi Adagia “dallo stampatore più noto del tempo”.
E ancora, c’è la Bologna di Nicola Zanichelli e del Mulino, la Firenze di Felice Le Monnier, Gaspero Barbèra e Attilio Vallecchi; c’è la Napoli di Benedetto Croce, la Bari di Vito Laterza, la Palermo di Elvira ed Enzo Sellerio, di Leonardo Sciascia e di Dario Flaccovio. E c’è la Roma di Angelo Sommaruga che vi diventa famoso, in via Due Macelli 3, “tra il 1881 e il 1885, pubblicando Cronaca Bizantina e Forche Caudine con le più note firme del tempo, in testa Gabriele D’Annunzio“.
Questa è una preziosa guida di viaggio tra nostalgia, presente e futuro. Ma cosa resta di quel patrimonio culturale? “Persone e libri – conclude Cicala – a dimostrare, come ha detto Italo Calvino, che l’editoria è ancora ‘una cosa importante nell’Italia in cui viviamo’”.