Avvenire, 4 giugno 2024
Intervista ad Antonio Tajani
«Tutto ciò che va nella direzione della pace, va bene...». Il ministro degli Esteri Antonio Tajani lo ripete più volte, nel corso del colloquio con Avvenire. Vale per il conflitto in Medio Oriente, ma anche per quello in Ucraina. Mentre conversiamo, arrivano notizie sul nuovo tira e molla fra Hamas e Israele sulla possibile tregua. E l’intervista, in cui il vicepremier e leader di Forza Italia ragiona di guerra e pace, ma anche di elezioni europee e scenari post voto e di questioni interne, come lo scontro con la magistratura sulla separazione delle carriere, parte proprio dalle nuove trattative in Medio Oriente.
Ministro, se alla fine Israele e Hamas dovessero accordarsi su una forma di tregua, stavolta potrebbe reggere, a suo parere?
Speriamo che si facciano passi avanti verso la pace, ogni atto che va in quella direzione va bene. Il cessate il fuoco è la cosa più importante. Proprio in queste ore è raddoppiata la spinta al negoziato da parte dell’amministrazione Biden, del presidente in persona assieme al suo segretario di Stato Anthony Blinken, che fra parentesi è un grande amico dell’Italia. Io credo che a questo punto per noi sia inutile discutere di dettagli: Israele e Hamas devono accettare le condizioni, per passare da una fase di guerra aperta a quella di un negoziato per la ricostruzione. Bisogna ricostruire Gaza, aiutare la sua popolazione che ha subito violenze durissime. E bisogna ricostruire un percorso politico per riportare palestinesi e israeliani a confrontarsi sull’obiettivo di avere due Stati.
Nel frattempo, l’Italia si sta adoperando insieme alla comunità internazionale per alleviare le condizioni della popolazione civile, con l’operazione Food for Gaza, partita da Nepi.
Proprio così. Ho appena finito di presenziare al carico dei rifornimenti (49 tonnellate di cibo, kit sanitari, materiale igienico, tende ospedale) pronti per partire in aereo, via Brindisi, oppure via mare da Gioia Tauro, per arrivare a Gaza attraverso i corridoi umanitari. Un progetto italiano al quale partecipano Fao, Pam, Croce Rossa, Mezzaluna Rossa.
L’Iran contribuisce ancora alla tensione nell’area?
Questa crisi di Gaza, con il ruolo che gli houthi, sostenuti dall’Iran, hanno avuto nel Mar Rosso, conferma che Teheran è un protagonista nella regione. Una potenza che spesso preferisce l’uso della forza militare per destabilizzare, piuttosto che una collaborazione politica. Noi vogliamo continuare a confrontarci con l’Iran, avvertendo però che – su dossier strategici come quello nucleare – la comunità internazionale avverte un’urgenza che Teheran di contro sembra voler sfidare di continuo.
Spostiamoci in Ucraina. Mentre incombe un rischio di escalation, qualora si dovessero colpire obiettivi su territorio russo, è percorribile ancora un’ipotesi di pace, attraverso un cessate il fuoco con un tavolo diplomatico per la trattativa fra Kiev e Mosca?
Dobbiamo evitare qualsiasi errore che possa portare la crisi fuori controllo. E per questo l’Italia ha chiesto all’Ucraina di utilizzare all’interno del suo territorio gli strumenti militari che abbiamo fornito per la difesa di una nazione aggredita e invasa. In parallelo, però, dobbiamo continuare a fornire supporto politico e militare a Kiev.
Con quale prospettiva?
Il nostro obiettivo è arrivare a una situazione di stallo, in cui la stessa Russia di Putin comprenda che è meglio avviare una fase negoziale, una trattativa per mettere fine alla terribile strage di questa guerra incivile, selvaggia, anti europea.
C’è anche il fronte del Nord Africa, la cui instabilità resta poco tranquillizzante.
La stabilizzazione della Libia rimane un obiettivo strategico del Governo italiano. E il “Piano Mattei” sta iniziando a entrare in azione, non certo per sottrarre risorse ai Paesi africani, ma per far crescere le loro economie, aiutarli a stabilizzarsi socialmente e a combattere fenomeni pericolosi come il cambiamento climatico.
In questo scenario, fra pochi giorni centinaia di milioni di cittadini europei andranno alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Cosa dice loro?
Invito tutti ad andare a votare. L’Europa è parte della nostra identità, noi siamo italiani ed europei: uno dei primi europeisti è stato Dante Alighieri. L’Europa è l’unico continente dove non c’è la pena di morte, è la culla della nostra identità, della nostra civiltà, è nata dalle radici cristiane e dalla cultura romana.
La pensano così anche Fratelli d’Italia e Lega? Lei ha appena difeso il presidente Mattarella dall’attacco di esponenti leghisti che ne chiedevano le dimissioni, solo perché aveva parlato di «sovranità europea».
Ho manifestato la mia solidarietà al capo dello Stato. Mi pare totalmente inopportuno, da chiunque, chiedere le sue dimissioni, tanto più il 2 giugno, festa della Repubblica. Ma manifesto il mio sostegno anche alle idee del presidente: noi siamo italiani e siamo europei. L’Europa è la nostra identità e la nostra storia. Siamo fino in fondo europei, ma questo non significa che dobbiamo rinunciare alla nostra identità italiana. Io la penso come Mattarella.
Invece la Lega ritiene che la sovranità italiana sia tutto.
Mi faccia dire una cosa. Rispetto ad altri movimenti politici, noi siamo diversi: siamo europeisti, e infatti siamo parte della famiglia dei popolari europei, che ha dato vita all’Europa con De Gasperi, Adenauer, Schuman. Siamo diversi dalla Lega culturalmente.
Però governate insieme.
Sì. E da anni, non solo in questa legislatura. Nel centrodestra, siamo alleati leali nel governo nazionale, nelle regioni e nei comuni, ma rispetto all’Europa abbiamo una visione diversa, tanto è vero che apparteniamo a famiglie politiche differenti.
Differenze che tuttavia si declinano pure in concreto. Sui balneari, ad esempio, Fdi non è per applicare la direttiva Bolkenstein, che è un atto europeo, e chiede di sollevare un conflitto di attribuzione rispetto alla recente sentenza del Consiglio di Stato in materia.
Noi di Fi siamo europeisti e crediamo nel rispetto delle norme europee. Vedremo se il conflitto d’attribuzione sarà effettivamente sollevato. Secondo me, la strada più utile da percorrere resta quella della trattativa con Bruxelles.
Torniamo alle elezioni. Come obiettivo per Forza Italia, lei ha fissato il 10%. E per la presidenza della Commissione, ritiene ancora possibile un bis di Ursula von der Leyen?
Il Partito popolare europeo continuerà a essere centrale nell’individuazione del prossimo presidente della Commissione. Nella scorsa legislatura indicò Weber, il cui nome saltò nello scontro con Timmermans e poi si optò per von der Leyen, che stavolta è stata indicata direttamente come spitzenkandidat. Vedremo, dopo il voto, se il suo nome supererà il vaglio di Consiglio e Parlamento. L’unica cosa certa è che il Ppe sarà decisivo.
L’ipotesi Mario Draghi la considera possibile o peregrina?
L’ex governatore della Bce è un’eccellente persona. Ma non è il candidato di nessuno. Anche Weber ha detto che non è il candidato del Ppe.
E lei? C’è chi fa circolare il suo nome.
Sono lusingato che qualcuno si ricordi di me, evidentemente memore dei miei trascorsi come presidente dell’Europarlamento e vicepresidente della Commissione. Ma, se me lo chiedessero, declinerei. Ritengo doveroso restare dove sono, continuando a mettere al servizio del Paese e del governo di cui faccio parte un’esperienza nelle relazioni internazionali maturata nel corso di trent’anni di presenza nelle istituzioni europee.
Veniamo alle cose di casa nostra. Le opposizioni vi accusano d’aver scritto – con premierato, separazione delle carriere dei magistrati e autonomie- delle pessime riforme, figlie di un triplice baratto fra le forze di maggioranza. Come risponde?
Non c’è nessun baratto, ci sono degli obiettivi politici che sono stati indicati in maniera limpida e trasparente agli elettori italiani, che hanno votato i nostri partiti. La separazione delle carriere dei magistrati è una tappa nel percorso di riorganizzazione della giustizia, non certo un’azione eversiva, come viene disegnata da alcuni. E quelle per arrivare al premierato sono proposte su cui confrontarsi, con lo scopo di avere governi più stabili, non di comprimere nessuna libertà democratica.
Eppure la separazione delle carriere rischia di aprire una fase conflittuale senza precedenti fra l’esecutivo e la magistratura ordinaria. Ciò non la preoccupa?
Dobbiamo essere molto chiari: la riforma rivede una particolarità italiana che non trova simili nelle democrazie europee. Il giudice che giudica e il magistrato che rappresenta l’accusa devono essere parte di organizzazioni separate. Si tratta di una riforma per dare più efficienza alla giustizia.