il Giornale, 3 giugno 2024
Le verità scomode di Montanelli
Pubblichiamo in questa pagina in accordo con l’editore Rizzoli una anticipazione del libro «Come un vascello pirata. 50 anni de Il Giornale nelle parole del suo fondatore» (pagg. 288) di Indro Montanelli con Luigi Mascheroni. Il libro sarà in edicola da domani con la nostra testata a 9,90 euro più il prezzo del quotidiano e nelle librerie a 18 euro. Il volume, curato e prefato dalla nostra firma, raccoglie alcuni degli articoli più belli del fondatore di questo giornale e alcuni brevi ricordi di personaggi famosi che di Montanelli scrissero: da Pier Bergonzi a Mara Venier.
15 aprile 1977. Montanelli partecipa sulla Rai alla trasmissione di Maurizio Costanzo, «Bontà loro». Apriti cielo... Il direttore risponde alle polemiche con un editoriale, parlando di libertà d’espressione, senza risparmiare frecciate e accuse a colleghi e avversari politici.
.
di Indro Montanelli
Quando Maurizio Costanzo m’invitò a Bontà loro non pensavo di certo che, accettando, avrei dato avvio a un «caso» nazionale. Avevo visto solo un paio di volte, e a brandelli, quella trasmissione, che ha il torto di cadere, per me, nel momento meno adatto: quello, solitamente affannoso, in cui si chiude il giornale, cioè se ne licenziano le pagine in tipografia. Ma mi era parso che si trattasse di una buona cosa, tenuta sul filo di una conversazione garbata: una pausa di distensione nell’incalzare di una cronaca sempre più punteggiata di avvenimenti traumatizzanti.
Neanche durante le riprese che si svolgono, come si suol dire, «in diretta», cioè nel momento stesso in cui appaiono sul video, mi accorsi di aver fatto scandalo o sensazione. Anzi, mi era parso proprio il contrario. Le cose più «audaci», se così vogliamo considerarle, che mi erano uscite di bocca, erano queste. La prima: che come tutti gli uomini della mia generazione salvo ammirevoli, ma rarissime eccezioni che si trovò il fascismo sul gobbo quando aveva dieci anni, anch’io ho portato la camicia nera com’era d’obbligo per tutti i ragazzi della nostra età: e credo che chi aveva l’apparecchio a colori abbia notato la vampa di rossore che in quel momento mi son sentito salire al volto non perché stavo confessando di essere stato fascista, ma per la vergogna di dover ripetere che tutta l’Italia lo è stata: una verità, che è ormai una banalità. La seconda: che nemmeno al tempo di Mussolini l’Italia era stata immersa in un bagno di conformismo plumbeo come quello d’oggi perché allora esso era imposto solo dall’alto, e chi si azzardava a farsene complice denunziando come antifascista che era l’accusa più pericolosa un collega al censore, veniva immediatamente isolato come un lebbroso (quale moralmente era); mentre oggi succede il contrario: la caccia alla strega fascista per additarla al linciaggio e per chiuderle la bocca, ce la facciamo l’uno contro l’altro, che è molto più infame. Mentre dicevo queste cose, non immaginavo neanche di lontano che i fatti le avrebbero confermate nello spazio di poche ore. L’indomani l’agenzia Aipe dava notizia di un siluro in arrivo alla Rai tv contro il povero Costanzo, reo di avermi invitato alla sua trasmissione e di avermici lasciato parlare in piena libertà. Telefonai subito all’interessato. Mi disse che anche lui aveva sentito parlare di siluri, ma che per il momento non ne erano arrivati, forse bloccati dalla mano ferrea di Paolo Grassi. Ma ecco scendere in campo, mercoledì, il giornale che si atteggia a campione di libertà e di progressismo, anzi ne rivendica rumorosamente la privativa: la Repubblica di Eugenio Scalfari. Perché, domandava minacciosamente costui alla Rai tv, si è concesso il video a Montanelli consentendogli di «irridere alla morte di Pinelli, di sostenere che tutti gl’italiani, nessuno escluso, erano fascisti e che sotto il fascismo trionfava il libero pensiero»? La gente come lui la tv deve tenerla fuori della porta. Il guaio di Scalfari non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice. Per lui è del tutto spontaneo, naturale e legittimo attribuire all’avversario propositi e parole che l’avversario non ha mai pronunciato, quando gli servono come pezza d’appoggio del suo sillogismo preferito: costui non è di sinistra, ergo è di destra, ergo è un fascista, ergo va imbavagliato. Che è la conclusione a cui è giunto nel mio caso. A questo punto è intervenuto il Corriere della Sera, sulla cui prima pagina di ieri campeggiava, a quattro colonne, il seguente titolo: Anche Montanelli ha diritto di parlare. Nonostante tutto ciò che ormai ci divide sul piano delle idee, il vecchio e glorioso giornale di via Solferino ha trovato nei suoi precordi albertiniani l’impulso a una solidarietà contro un attacco che, venendo da un uomo come Scalfari, è superfluo definire spregevole. E di questo non possiamo che ringraziarlo (il Corriere, si capisce). Mi domando però che effetto quel titolo con quell’anche che puzza tanto di perfino potrebbe aver sortito, poniamo, su uno straniero che, sbarcando ieri in Italia, e conoscendo la nostra lingua, ma non le nostre cose, lo avesse letto, bello spaparanzato com’era sulla prima pagina del più diffuso quotidiano nazionale. Certamente si sarebbe chiesto: «Ma chi è questo Montanelli e quali nefandezze ha compiuto se un giornale importante come il Corriere deve così clamorosamente impegnarsi perché gli venga riconosciuto il diritto alla parola? È un criminale di guerra? Un rapinatore? Il mostro di Düsseldorf?».
Andate un po’ a spiegargli, a questo straniero, che Montanelli è soltanto un giornalista il quale ha il torto di dire delle cose che dispiacciono al sig. Eugenio Scalfari e ad altri tenori della sinistra libertaria, progressista, delatrice e censoria; e che pertanto, quando anche a lui concedono la parola, sia chiaro che lo fanno solo per bontà loro.
a