La Stampa, 3 giugno 2024
Maschi meno capaci di leggere e capire ma lavoro e retribuzioni li premiano
I bambini e i ragazzi sono sempre meno capaci di leggere un testo, anche semplice, e capirlo; di codificare le informazioni, anche quando sono istruzioni d’uso; di esprimersi, e quindi di comunicare. Per bambini e ragazzi s’intende: i maschi. È un problema italiano, europeo, occidentale, ed è oggetto di una lunga ricerca della professoressa Maria Laura Di Tommaso, Ordinaria di Economia Politica all’Università di Torino, che ne ha parlato con Chiara Saraceno, sociologa e firma della Stampa, nell’incontro “Accesso alle conoscenze e questioni di genere”, ieri al Festival Internazionale dell’Economia.
Il ritardo dei ragazzi (maschi) nelle competenze linguistico-comunicative si accompagna a un più basso livello di istruzione: dati entrambi sorprendenti, intanto perché non siamo mai stati così istruiti come adesso (anche se in modo disomogeneo) e soprattutto perché non sembrano, per ora, condizionare la capacità che quei ragazzi, una volta cresciuti, hanno di trovare lavoro e di guadagnare (ma questo risulta soprattutto da una comparazione: nonostante gli uomini siano meno istruiti delle donne e meno capaci di comunicare, scrivere, interpretare il mondo, continuano a lavorare e guadagnare più delle loro colleghe). Questo dimostra quanto sia radicato il gap salariale di genere e spiega perché il gap relativo alle competenze linguistiche maschili venga trascurato: non compromettendo l’ascesa professionale e il guadagno che ne deriva, si pensa non solo che sia superfluo intervenire, ma pure che, in fondo, quel divario dipenda da una differenza congenita. Mentre del sempre ridotto accesso delle ragazze allo studio delle materie Stem (di area tecnico-scientifica) abbiamo imparato a dare una lettura culturale, e sappiamo che si tratta di qualcosa che va ricondotto a un pregiudizio (le donne non amano la scienza, né la capiscono), e da tempo interveniamo, tanto con misure di sensibilizzazione quanto con agevolazioni, per correggere la disparità che produce, l’incapacità dei ragazzi di esprimersi, sembriamo incapaci di leggerla come problema. Invece, il fenomeno non è senza conseguenze: nei ragazzi, produce una sempre più marcata tendenza ad avvicinarsi a posizioni conservatrici, retrograde, e quindi ostacola, in loro, la nascita e crescita del buon cittadino.
Saraceno sottolinea che chi è incapace di parlare, non sa esprimere i suoi sentimenti, i bisogni, i desideri. E questo ha una inevitabile ricaduta sull’esclusione sociale, talvolta un’autoesclusione, così come sul ricorso alla violenza: quando parliamo di violenza di genere, allora, «il patriarcato non spiega tutto». C’è, poi, un aspetto assai precedente, e di metodo, che può aver contribuito a creare questo forte (crescente?) squilibro, ed è l’idea di una istruzione finalizzata solo e soltanto alla carriera. Ai ragazzi e alle ragazze, forse, dobbiamo tornare in grado di spiegare che lo studio (di qualsiasi disciplina) è prima di tutto il mezzo che farà di loro bravi cittadini, esseri umani più felici, sani, prosperi, e liberi. Perché studiando si diventa prima d’ogni cosa cittadini, poi professionisti. —