La Stampa, 3 giugno 2024
Il trionfo delle destre
Prendete un partito finlandese che esige l’ortodossia di bilancio in tutti gli Stati dell’Eurozona e uno italiano che invece vuole liberare il proprio Paese dai vincoli di Bruxelles. Uno polacco che considera prioritario il sostegno militare all’Ucraina e uno austriaco che vorrebbe ridurre anche gli aiuti finanziari a Kiev. Uno spagnolo che accusa la Cina di ogni male e uno ungherese che vorrebbe portare avanti una politica di collaborazione con Pechino. Uno bulgaro che ha posizioni chiaramente antisemite e non ha voluto condannare gli attentati del 7 ottobre e uno ceco che è per il sostegno a Israele senza se e senza ma. Uno rumeno che vorrebbe integrare la Moldova e uno olandese che si oppone fortemente a qualsiasi allargamento dell’Unione europea. Ora provate a metterli tutti attorno a un tavolo per cercare di definire una posizione politica europea comune. Mica facile, no?
Tutti i sondaggi sulle prossime elezioni europee prevedono un successo dei partiti di destra, che secondo il politologo olandese Cas Mudde, autore di Ultradestra e uno dei maggiori esperti del fenomeno, andrebbero classificati come «destra radicale» e non come «estrema destra» perché si tratta di forze che in linea di massima accettano l’essenza della democrazia, ma rifiutano i suoi elementi liberali come ad esempio i diritti delle minoranze, la separazione dei poteri e lo Stato di diritto in generale. Dopo la Brexit, nessuno parla più di uscire dall’Ue, ma tutti si oppongono a una maggiore integrazione. Nell’attuale Parlamento europeo quei partiti sono divisi in due gruppi: quello dei Conservatori, di cui fa parte Fratelli d’Italia, e quello di Identità e Democrazia, formalmente guidato dalla Lega, ma con Marine Le Pen ormai leader de facto. I partiti di ID sono in testa ai sondaggi in Austria, Belgio, Francia e Paesi Bassi, mentre FdI dovrebbe confermarsi prima forza in Italia.
Anche per questo, tra molti di loro si sta facendo largo l’ambizione di dar vita a un gruppo unico che potrebbe contare più di 160 eurodeputati e diventare la seconda forza a Strasburgo, dietro i popolari. Ma se la matematica non è un’opinione, la politica invece lo è. Ed è per questo che pensare di fare i conti aritmetici, semplicemente sommando i seggi, significa non fare i conti con la realtà. A titolo di esempio, giusto per rimanere alla cronaca dei giorni scorsi, i tedeschi di Afd sono appena stati espulsi dal gruppo ID e dunque i loro seggi saranno sicuramente fuori dal conto. E poi ci sono una serie di incompatibilità che renderanno difficile per il partito Reconquete! di Marion Le Pen sedersi accanto al Rassemblement National di zia Marine, dopo la crisi politico-familiare che le ha divise.
Per ragioni diverse, anche la convivenza a Strasburgo tra i parlamentari di Fratelli d’Italia e quelli della Lega non è mai stata fattibile, per non parlare del fattore Russia che è forse l’elemento più divisivo all’interno del variegato mondo della destra radicale europea. Se sulle politiche migratorie e sul Green Deal è facile non solo trovare una linea comune, ma anche influenzare quella del Ppe, sulle questioni più legate agli interessi nazionali come l’economia e la politica estera la sintesi tra le varie posizioni sembra impossibile. E poi c’è la grande incognita del “Fattore Trump”, al quale molti di questi partiti si ispirano, che potrebbe avere effetti significativi sui rapporti transatlantici in caso di un ritorno alla Casa Bianca. «Ci sono grandi movimenti in corso tra i partiti alla destra dell’emiciclo, qualcosa di nuovo sicuramente succederà» prevede un ministro esponente di un governo sovranista. Perché – e questo è un dato molto importante al di là del risultato delle Europee – la presenza dei partiti della destra radicale nei governi dei Paesi Ue sta aumentando costantemente. Quelli che fanno parte della famiglia di Identità e Democrazia sono già al governo in Italia, in Slovacchia, in Croazia e presto anche nei Paesi Bassi, senza dimenticare che a settembre ci sono le elezioni in Austria e la FPO è attualmente il primo partito. Quelli conservatori guidano l’esecutivo in Italia, in Repubblica Ceca, fanno parte della coalizione in Finlandia e danno l’appoggio esterno in Svezia. E poi c’è l’Ungheria di Viktor Orban, il cui partito Fidesz ancora cerca una collocazione dopo esser stato cacciato dal Ppe.
Questo significa che la posizione di otto governi Ue è già influenzata dalla linea politica dei partiti delle destre e questo nelle dinamiche dell’Unione europea ha un peso decisivo, al di là di ciò che succederà all’interno dell’Europarlamento. Dove per prima cosa chiederanno di spezzare il cordone sanitario che fino a questo momento li aveva tenuti lontani dalle cariche istituzionali e dai dossier legislativi, seppur con qualche differenza. I conservatori sono riusciti a ottenere almeno una vicepresidenza dell’Europarlamento, mentre i sovranisti di Identità e Democrazia non hanno mai toccato palla. Socialisti, verdi e liberali continuino a ripetere che «non ci sarà alcuna forma di collaborazione con nessuno dei due gruppi». Ma il fatto che molti ministri in carica sono esponenti di questi partiti renderà inevitabile un dialogo all’interno del Consiglio Ue, senza dimenticare che anche nella prossima Commissione potrebbero arrivare diversi membri della destra.
Il primo banco di prova sarà l’elezione del presidente dell’Europarlamento, prevista durante la plenaria d’insediamento che inizierà il 16 luglio. Non è un mistero che il Ppe voglia ricandidare Roberta Metsola, a suo modo garante della coalizione tra socialisti, popolari e liberali, anche se all’epoca fu votata pure da molti partiti di destra. Se questa volta i sovranisti decidessero di presentare un candidato comune, le cose potrebbero complicarsi per la maltese, dato che il fronte opposto dell’emiciclo potrebbe rispondere con una candidatura progressista. Ma molto dipenderà appunto dall’assetto della destra nel nuovo Parlamento.
Vista la crescente presenza di forze “governative”, questo potrebbe essere il fattore catalizzante nel grande rimescolamento dei gruppi sovranisti, unendo sotto lo stesso tetto quei partiti che a livello nazionale hanno già qualche forma di collaborazione con i popolari o con i liberali in modo da proseguire il dialogo anche a Bruxelles e Strasburgo. Scenario nel quale Giorgia Meloni potrebbe certamente giocare un ruolo, ma che metterebbe nettamente fuori gioco Marine Le Pen, sulla quale non c’è solo il veto dei partiti progressisti, bensì anche del Ppe e della sua candidata Ursula von der Leyen.
L’unione delle destre governative, però, non sarà un esercizio facile. Anche perché non tutti i partiti sovranisti hanno mantenuto lo stesso atteggiamento nel passaggio dalla lotta al governo. «Il Partito dei Veri Finlandesi e Fratelli d’Italia si sono finora dimostrati molto più pragmatici di quanto molti osservatori si aspettassero» spiegano Rosa Balfour e Stefan Lehne nello studio Tracciare l’influenza della destra radicale sulla politica estera dell’Ue di Carnegie Europe che ha analizzato nel dettaglio storia e posizioni di quattordici partiti dell’ultradestra europea. «Al contrario – proseguono – sia il PiS che Fidesz sono diventati più euroscettici durante il loro mandato e hanno adottato misure per perseguire relazioni conflittuali con Bruxelles». Il motivo? «Al di fuori dell’Eurozona e senza le restrizioni legate al fatto di provenire da uno Stato membro fondatore dell’Ue, questi due partiti hanno meno inibizioni nel creare tensioni con Bruxelles rispetto, per esempio, all’Italia, un grande membro fondatore». —