Corriere della Sera, 3 giugno 2024
Il tramonto dei maestri insegnanti di vita
Qualcuno ci accuserà di nostalgia o di «retrotopia». Ma è stato davvero formidabile il tempo dei maestri, evocato da Luciano Fontana in una recente lectio brevis. Bastava entrare in tante aule universitarie, per incontrare grandi personalità di diversa provenienza culturale e ideologica. Esperti in una specie di sport estremo, conducevano verso alte vette, consegnando panorami mai visti. Figure leggendarie, che avevano i vizi e le virtù dei baroni. Capaci di accendere il fuoco della conoscenza. Severe, ma anche istrioniche. Temuti modelli ai quali ispirarsi: talvolta, per distanziarsene. Dotati di un’autorevolezza intellettuale, psicologica e sociale, avvolti in una sorta di aura, quei professori, senza dichiararlo, addestravano a stare al mondo: e a interrogarlo. Abili nel comunicare con le parole e con i silenzi, erano inclini a pensare la propria disciplina come un punto di partenza: un recipiente dentro cui gli allievi potevano riversare le loro domande. Voci di un’università per pochi, avevano una vocazione: lasciare un’impronta negli studenti. Dar loro luce. E suggerire possibili piste, in lezioni fondate sulla reciprocità, come nelle dinamiche amorose.
È ora? Addio aura. Con rare eccezioni. Nell’università, come nella vita politica, ci muoviamo in un paesaggio per lo più abitato da «mezzeculture», per dirla con Adorno. I maestri sono stati sostituiti da ricercatori-burocrati, scelti secondo la logica della fedeltà; incapaci di combinare ricerca e didattica; costretti a svolgere la propria missione in maniera impiegatizia; condannati dall’attuale sistema a pubblicare, su riviste senza circolazione, studi destinati all’irrilevanza.
È il doloroso esito di un’università caratterizzata da una benefica democratizzazione ma anche afflitta da una perversa licealizzazione; stritolata da attività gestionali e da algoritmi; seppellita sotto le spoglie di una cultura tecnocratica, volta a imprigionare in procedure standardizzate.
E, tuttavia, nel nostro Paese, non mancano talenti, intelligenze e competenze. Manca, però, un ambiente accademico che sappia riconoscere e valorizzare coloro che potrebbero diventare i nuovi maestri. Eppure, si tratta di figure necessarie. Soprattutto in una fase storica come quella che stiamo attraversando – simile a un parallelogramma di forze – i giovani, in bilico tra disorientamento e indifferenza, sono in attesa di stelle polari. Che educhino a porre domande scomode. A non accettare sintassi fatte di regole definite. A cambiare la disposizione di parti di mondo. Infine, a immaginare un presente diverso.