il Fatto Quotidiano, 3 giugno 2024
I clericali omofobi, i gesuiti Lgbtq+ e la battaglia per ammettere i gay in seminario
Al netto della vagonata di interpretazioni pubblicate e anche delle scuse del Vaticano (il papa “non voleva offendere nessuno, nella Chiesa c’è posto per tutti”), la gaffe francescana sull’eccesso di “frociaggine” nei seminari cattolici non ha impressionato più di tanto la variegata destra clericale, assestata da lustri su posizioni omofobe contro la “lobby Lgbtq+” in tonaca.
Anzi. Lo scoop di Dagospia sulle parole di Bergoglio – pronunciate durante una riunione non pubblica dei vescovi italiani – ha alimentato una nuova campagna contro la Chiesa della misericordia di Francesco e le aperture sulla questione cruciale dell’omosessualità, riassunte dall’interrogativo a mo’ di certezza espresso dal pontefice un decennio fa: “Chi sono io per giudicare?”. Il fariseismo dei clericali, invece, condanna senza alcuna possibilità di redenzione i gay, soprattutto se preti. Il riferimento resta il Liber Gomorrhianus di San Pier Damiani, cardinale e teologo dell’anno Mille.
Ancora oggi, nel terzo millennio, capita di leggere: “‘La sozzura sodomitica si insinua come un cancro nell’ordine ecclesiastico, anzi, come una bestia assetata di sangue infuria nell’ovile di Cristo con libera audacia’. Così mille anni fa scriveva san Pier Damiani in un testo che è di straordinaria attualità”. Detto questo, subito dopo la fiammata polemica sulla “frociaggine”, l’attenzione e la curiosità della destra clericale si sono spostate su padre James Martin, gesuita americano nonché scrittore, editorialista di varie testate e consulente di registi come Martin Scorsese. Da sempre sostenitore di una pastorale Lgbtq+, padre Martin, per volontà di Francesco, è pure consultore del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede (il prefetto è il laico Paolo Ruffini, ex direttore di Rai 3 e poi di TV2000).
Il gesuita americano è stato tra i primi sacerdoti ad applicare la dichiarazione Fiducia supplicans per le coppie dello stesso sesso, benedicendo due suoi amici in una residenza della Compagnia. Questa dunque la sua reazione, su X, alla “frociaggine” denunciata da Francesco: “Nei miei venticinque anni come sacerdote e quasi quaranta come gesuita, ho conosciuto centinaia di preti gay santi, fedeli e celibi. Sono stati i miei superiori, i miei insegnanti, i miei confessori, i miei mentori, i miei direttori spirituali e i miei amici. E se siete cattolici, hanno celebrato messe per voi, battezzato i vostri figli, ascoltato le vostre confessioni, vi hanno fatto visita negli ospedali, hanno presieduto ai vostri matrimoni e hanno seppellito i vostri genitori. La Chiesa sarebbe incommensurabilmente più povera senza di loro”.
La dimostrazione, questa, che “secondo le stime di uno dei fratelli gesuiti di Martin, circa il cinquanta per cento dei membri dell’ordine dei gesuiti è omosessuale” (Aldo Maria Valli, ex vaticanista Rai). In ogni caso, l’uscita di Martin ribadisce un orientamento favorevole ai gay in seminario. Cioè il vero problema che può provocare altre divisioni nella Chiesa. Ecco il commento su America Magazine, la rivista dei gesuiti Usa, scritto il 29 maggio da Bryan Massingale, prete nero e gay: “Rifiutare di ammettere omosessuali in seminario implica che essi soffrano di difetti o deficit morali che gli uomini eterosessuali non soffrono”. Appunto.