la Repubblica, 3 giugno 2024
I fuoriusciti dalla democrazia
L’America è uno Stato fascista». L’inizio e l’epilogo della crisi che la democrazia sta vivendo coincidono in questa denuncia disperata e incendiaria di Donald Trump, una dichiarazione di guerra al suo stesso Paese, accusato di ribellarsi alla sottomissione al suo ex presidente, quando pretende di essere al di sopra della legge, del giudizio dei tribunali e delle scelte dei cittadini con il voto. Siamo tecnicamente davanti alla sovversione sulla soglia della Casa Bianca, con il leader repubblicano che chiama il popolo alla rivolta contro il presidente democratico, additato alla folla dell’ultimo comizio come un criminale che manovra i giudici per eliminare dalla gara il suo rivale, dopo aver truffato le elezioni. La garanzia di libertà del sistema diventa condizionata, intermittente e revocabile, secondo le convenienze della furia trumpista mutevole, dentro il regime per guidarlo se vince, pronta a maledirlo da fuori se perde. Fino alla discesa dell’ultimo gradino, inevitabile: perché se l’America è fascista, cade l’ultimo velo del patriottismo costituzionale, e la destra non si riconosce più nell’orizzonte comune della democrazia repubblicana.
Questo è il vero punto distintivo della nuova epoca: la spinta a fuoriuscire dalla democrazia, vale a dire dalla cornice comune della cultura, della politica e diciamo pure della fede democratica. È una spinta innescata dalla successione delle crisi a catena che hanno aggredito il secolo nascente, rivelando tutta la fragilità della costruzione democratica che credevamo ormai egemone, la sua incapacità di tener fede alle grandiose promesse di libertà e di emancipazione, la difficoltà ad arginare nei fatti la delusione e la rabbia di quella fetta crescente di cittadini tagliati fuori, che vivono direttamente l’esperienza delle diseguaglianze precipitate in esclusioni. Trump aveva trasformato questo sentimento di rancore, frustrazione e vendetta in una figura sociale, ilforgotten man,
l’uomo solo dimenticato dalla politica, rivolgendo direttamente a lui il discorso della vittoria, con una promessa che rovesciava la piramide di classe: tu domani entrerai con me alla Casa Bianca.
Un paradosso rivoluzionario, col tycoon miliardario che si china sulla nuova emarginazione del ceto medio sommerso, ne incamera il risentimento universale, una cambiale di rancore convertibile in contro-politica: e vieneimmediatamente riconosciuto come leader dagli spossessati di ogni rappresentanza e di qualsiasi provenienza proprio per la sua irregolarità, la non conformità del linguaggio e delle forme, l’irriducibilità alternativa del suo stesso personaggio.
Ilforgotten man è stato il protagonista a sorpresa della prima avventura trumpiana, rompendo la barriera tra il popolo di destra e quello di sinistra: oggi la seconda stagione si inaugura sull’altro polo della rivoluzione reazionaria, quello della leadership, che si fa insurrezionale. Come se fossero chiamati entrambi ad un appuntamento della storia, ilforgotten man sta andando incontro al suo compagno di strada, il presidente-eversore, l’insurgent, l’alfa e l’omega del sistema.
Non ci siamo ancora resi conto della vastità e dunque della facilità di questa fuoriuscita dalla democrazia: anzi dellaseduzione che esercita sui leader indifferenti al sistema dei diritti e delle garanzie, perché tentati dalla scorciatoia dei pieni poteri, del nuovo autoritarismo, del rapporto diretto tra popolo e sovrano, senza più intermediazioni.
La novità è questa esplicita convenienza, per il radicalismo di destra, nel saltare la regola democratica, e cioè il sistema del bilanciamento dei poteri che accompagna l’esercizio della legittima potestà di governo. Non è soltanto l’unzione sacra del consenso che libera il leader dai lacci e lacciuoli dei controlli sui suoi atti: è il fondamento di una diversa autorità e di una autonoma legittimazione che nascono quasi autocraticamente, comunque fuori dal travaglio della democrazia e dal senso del limite, in un luogo nuovo e incontaminato dove il consenso si trasforma in potestà, fondando una sovranitàfinalmente compiuta, senza più ostacoli, quasi incandescente. Tutta la cabala antica della democrazia si riassume e si condensa nella formula finale di una sola parola: il comando.
Si avvera così la profezia di Putin nel 2018: la democrazia non deve essere per forza liberale, può esistere e sopravvivere cambiando pelle fuori dallo Stato di diritto, e in ogni caso è una semplice costruzione umana figlia del secolo, dunque non è affatto detto che riesca a sopravvivere oltre la frontiera del Novecento.
Il fatto è che al funerale della democrazia oggi accorrono in ugual misura dittatori in carica, aspiranti autocrati, leader neo-autoritari, reazionari nostalgici e populisti neofiti: e sorprendentemente, anche persone e personaggi di sinistra incapaci di vedere che la cifra antidemocratica dell’epoca è con ogni evidenza reazionaria, tanto da rievocare un proclama dimenticato di Mussolini nel marzo del ’22: «È finito il secolo democratico, il secolo del numero, della quantità, della maggioranza. Comincia un secolo aristocratico: lo Stato di tutti tornerà ad essere uno Stato di pochi. Pochi, ed eletti».
Come si spiega questa regressione e questa cecità? Intanto con la concatenazione semplificata dei concetti, democrazia uguale Occidente, uguale Stati Uniti d’America, uguale ossessione eterna che supera l’evidenza dei fatti e delle guerre, con l’ideologia che si ribella alla lezione della storia, e non riesce a morire. Poi con la lunga semina del populismo che racconta da oltre un decennio la democrazia come un grande inganno, una confisca di realtà da parte delle élite, una mistificazione imperante.
Solo così, con questa perenne auto-consolazione nella purezza dell’altrove, si può arrivare allo smarrimento di ogni coscienza del dovere morale e politico nei confronti dell’Ucraina aggredita, esultando anzi per qualsiasi successo militare dell’Armata russa, concedendo a Mosca tutto ciò che si nega a Kiev, naturalmente in nome della pace. Come se la realizzazione di una vera pace non passasse necessariamente dai principi riaffermati del diritto e della giustizia, ma esclusivamente dalla forza: il nuovo idolo pagano, che minaccia ogni giorno di più di insediarsi sugli altari d’Occidente al posto del Dio democratico spodestato.