la Repubblica, 3 giugno 2024
Così le giovani leve del clan Spada studiano da boss
ROMA – La paura non è solo per quello che gli potrebbero ancora fare, ma per gli spintoni già presi, per la minicar distrutta, per le risa di scherno e per le minacce: «Stai zitto, stai fermo, non gridare». La paura è per tutto quello che ha già subito. A 16 anni è finito tra le mani di sei giovani leve di uno dei clan più temuti di Roma. «Dici Spada e dici violenza, sopraffazione, tortura», è il commento di un investigatore che ha incrociato più volte la storica famiglia Sinti sul proprio cammino. La tradizione criminale detta la legge della prevaricazione, insegna a restare indifferente di fronte ai pianti e al tremore di chi si ha davanti. Da Ostia alle piazze di spaccio della Capitale, gli Spada restano un’istituzione della malavita.
Decimati, anche mediaticamente, dopo la testata di Roberto Spada al giornalista Rai Daniele Piervincenzi, gli Spada ora puntano sul vivaio. Una cantera dove i minorenni si allenano a diventare futuri capoclan sulla pelle dei coetanei. Rubano auto, bullizzano i compagni, camminano per la scuola a testa alta e dispensando occhiatacce per affermare il potere che ancora non hanno.
Fa già parte del passato il vecchio tirocinio con torture e uccisioni di animali, training che ha formato i fratelli Marco e Gabriele Bianchi prima di ammazzare a mani nude Willy Monteiro Duarte. O l’addestramento previsto a Roma dagli ’ndranghetisti Alvaro che ai minorenni affidano un revolver per fare pratica da “picciotto” in giardino. I giovani vicini agli Spada hanno 14, 16, 19 anni al massimo, maneggiano carne viva. È la palestra dei baby boss. Se le prede sono deboli è meglio, così loro si sentono più forti.
Luca, la vittima di questa storia, è un ragazzino con una disabilità lieve. È diventato il bersaglio di una notte che difficilmente riuscirà a chiudere dentro il cassetto dei cattivi ricordi. Il 6 aprile scorso, intorno alle 22,30, era accanto alla sua minicar in una piazza dei Castelli Romani, sotto le luci fioche dei lampioni. L’indomani dovrà partire per uno stage, i suoi genitori lo aspettano a casa. Tra chi lo rapisce c’è chi vive da solo con la madre e aspetta un padre che un giorno tornerà dal carcere.
Le urla non sono servite a fermare i tre ragazzini arrivati in piazza. Troppo tardi, avevano deciso che Luca sarebbe stato il loro addestramento. Uno dei tre è suo compagno in un istituto professionale della provincia romana. Uno sguardo, un mezzo saluto ed è cominciata una girandola infernale dai Castelli a Roma. Una notte che ha inizio in una piazza che è ritrovo dei giovanissimi nei sabato sera, dove nessuno ha voluto ascoltare la richiesta di aiuto di Luca quando i tre lo hanno spinto dentro la minicar e hanno cercato di tappargli la bocca. L’auto è partita a gran velocità, di quel ragazzino sono sparite le tracce per due ore.
È paura quella che serpeggia tra chi avrebbe potuto strapparlo aquelle braccia? O forse si tratta di rassegnazione? Sembra così sentendo le parole del dirigente dell’istituto dove studia Luca: «Qui ci sono accoltellamenti, aggressioni, di tutto. Ma se una cosa non succede a scuola non mi riguarda». E chiamare il suo studente per sapere come sta? «Non mi compete. Perché per me questa storia resta solo un racconto. So solo che ci sono indagini, nient’altro», chiude il discorso. La storia non è una diceria da corridoio. Luca dalla sua minicar è stato trascinato fuori a una quindicina di chilometri dai Castelli, davanti a un distributore di benzina a Tor Bella Monaca, la piazza di spaccio più grande d’Europa. Lì un Suv bianco, rubato nottetempo e con altri tre ragazzi a bordo, aspettava la minicar con la preda schiacciata contro il sedilepasseggero dal peso di uno deirapitori.
Luca è stato costretto a entrare dentro il bagagliaio del Suv, ripreso dalle telecamere di sorveglianza. Le immagini immortalano la sua mano che tenta di sollevare il portellone e uno dei sequestratori che lo chiude con forza. Rannicchiato dentro quello spazio, Luca è già senza giubbotto, senza soldi e documenti, senza telefono e senza speranza di ritornare a casa. Perché nel piano dei suoi aguzzini non c’è la possibilità di una fuga. La strada lo insegna. Ma la sfacciataggine dell’impunità li tradisce: il gruppo non considera l’eventualità di essere ripreso in una città dove gli occhi che ti guardano non sono solo quelli di chi hai rapito. La carovana si fermerà a Torrenova, un’altra periferia dove Roma è ancora abitata soprattutto dai romani. E dove dai “bassi” si oliano gli ingranaggi dello spaccio di droga.
Dopo circa mezz’ora il bagagliaio si apre. Ma non è il momento di liberare Luca. In due iniziano a litigare sul da farsi. Uno vuole picchiarlo, un altro è nervoso perché la minicar ha un guasto, non si accende più dopo averla scaraventata contro un muro per distruggerla. È l’apice del sequestro, Luca racconterà agli investigatori che cercava di restare calmo, di dialogare. E per questo viene solo sbeffeggiato dai sei, uno ha i capelli ricci e già qualche precedente. Luca appunta nella mente più particolari possibili. Il suo cellulare verrà scagliato a terra nell’intento di distruggerlo. Il ragazzino riesce a riprenderlo e a fuggire. Di corsa, nel buio di una strada, via Laerte, che costeggia per metri solo distese di verde, Luca si nasconde tra gli alberi e chiama la madre. Non risponde, il segnale è debole. L’ansia sale. Allora contatta un’amica. A mezzanotte inoltrata le lacrime e la tensione si scaricano nel racconto davanti ai genitori, a casa. La famiglia ora è davanti a un bivio. Denunciare o rinunciare? Si va avanti contro gli abusi.
Così inizia il valzer delle denunce, delle notti insonni in cui Luca dorme con la luce accesa. I carabinieri raccolgono le prime informazioni, sequestrano immagini che potrebbero diventare preziose. Il mondo attorno a Luca, tranne gli amici più stretti, non sa nulla. Lui torna a scuola dopo un mese di stage. Inizia a confidarsi con alcuni adulti, ha bisogno di condividere il suo dolore. Salta fuori che il compagno di scuola che lo ha sequestrato ha già fatto altre vittime e alle lezioni va sempre meno. Nell’aria c’è una bocciatura d’ufficio. La magistratura indaga quattro ragazzini per sequestro di persona e rapina aggravata oltre a valutare la richiesta di una misura cautelare. Nell’hinterland dove si intrecciano le vite di famiglie come quelle di Luca e quella dei baby boss arriva un segno di pace dal ragazzino rapito: «Sono dei pischelli. Tutto questo mi ha fatto crescere, anche se avrei preferito farlo diversamente».