il Giornale, 2 giugno 2024
Da guardiani a lacché: il declino dell’informazione è un thriller
Rodolfo Rodrick è un giornalista di lungo corso, ma ormai fuori corsa. È inviato di un grande quotidiano che però non lo invia più da nessuna parte, secondo la nuova filosofia aziendale che vorrebbe fare i giornali facendo a meno dei giornalisti. Del resto, gli inviati stanno antipatici anche ai direttori, perché sfuggono al loro controllo, e sono detestati dai colleghi di redazione, invidiosi di chi cazzeggia in giro mentre loro si fanno il mazzo, si fa per dire, chiusi nei desk formato open space.
Rodrick sa che il suo è un mestiere senza futuro e senza speranza: «Le redazioni si svuotavano, il lavoro cresceva, gli abbonati declinavano, i lettori sparivano come gli alpini nella ritirata di Russia, la credibilità si inabissava». Sa che la colpa è principalmente della categoria, il conformismo dei giornalisti, l’essersi trasformati da cani da guardia della democrazia in cani da guardia del potere, e insomma cani di carta... È sufficientemente disincantato per guardare in faccia la realtà, e sufficientemente cinico per non perdersi nei buoni propositi o nelle battaglie di principio: «Nessuno parlava del giornale, del prodotto, di come facendolo meglio si sarebbero potute vendere dieci copie in più. Solo tagli, anche le biro, la carta igienica pure. Così sarà un quotidiano sempre più povero e brutto, venderà ancora meno. Ma chi se ne frega? Tagliare ancora. Il taglio diventava posa metafisica, voluttà nichilista, odio della vita, al di là del pretesto economico. E comunque di investimenti non se ne parlava. Mai visto un imprenditore che investe?».
Rodrick vive nel paese di Bengodi, che è un modo come un altro per dire che vive in Italia. Senilia è del resto il nome che l’età media della popolazione consente di dare al continente di cui Bengodi fa parte, il Vecchio continente, appunto, mentre Aurelia e Nasdrovia sono lì a indicare le due superpotenze che di Senilia vorrebbero fare polpette. Se si dice Stati Uniti e Russia si rende ancor meglio l’idea, ma mentre il primo è ormai da settant’anni il protettore benevolo che però non va contrariato, la seconda sta faticosamente cercando la grandezza perduta, e quindi anche qui la stampa va dove il potere ha deciso sia più conveniente andare...
Rodrick ha una fidanzata, Ursula Palermo, un po’ agée e che lavora nel campo delle pierre, occupata in quel momento «a lanciare una Fiera del libro in un Paese di analfabeti di ritorno dove nessuno legge. Giornali, tv e siti devono fare appello alla minoranza che ancora compra i libri. Non dico a chi legge davvero, quelli sono quattro gatti da chiudere al museo». Fare le pierre, sostiene Ursula, «è come lavorare in miniera: noi creiamo gli eventi, senza di noi la cultura non uscirebbe dalle case editrici o dalle fondazioni. Colleghiamo il sapere alla gente». È anche vero però che «i soldi sono sempre meno e i giornali dove si parla dei libri che nessuno legge, marciscono nelle edicole. Va tutto a rotoli tranne i libri per bambini. Ci fossero libri per cani, quelli farebbero milioni. Magari fatti in modo che dopo averli annusati possano mangiarseli. Bisognerebbe pensarci». Si sarà capito che la loro è un’unione fra due solitudini, se non fra due stanchezze. «Ursula credeva che lui fosse un bravo giornalista e la cosa lo lusingava, uno dei suoi io più turgidi e frustrati. Ma non l’avrebbe mai ammesso. Gli toccava però ricambiare, facendo finta di interessarsi al suo indefinibile ruolo di Pr».
In attesa che la prossima ristrutturazione aziendale gli riservi un taglio allo stipendio, una cassa integrazione a rotazione se non addirittura un licenziamento, e con la minaccia di finire intanto al web che, come pontifica il suo direttore per meglio levarselo dai piedi, «è il settore del futuro, la carta, come sai, è praticamente defunta. Lo dicono tutti ormai, Digital First», Rodolfo Rodrick si infila senza saperlo in un pasticcio troppo più grande di lui. Succede che un dirigente della Società Acque potabili, Luca Mendini, lo contatti a proposito della nuova rete idrica di Bengodi. Sembra che sia costruita con materiali altamente cancerogeni, a causa delle tubature fornite da una ditta d’oltreoceano, ovvero Aurelia, il potente alleato e amico con cui si fanno affari, ma a cui non si fanno domande. Rodrick vorrebbe approfondire, ma la fonte pochi giorni dopo muore, «suicidio» naturalmente, e da lì in poi le cose iniziano a precipitare e i cadaveri a diventare numerosi. Di fronte alla possibilità di scrivere lo scoop della sua vita, Rodrick si trova costretto a chiedersi fino a quanto e fino a che punto sia disposto a sacrificare sé stesso in nome della verità e della professione.
Cani di carta, di Claudio Gallo (Gog edizioni, pagg. 227, euro 18) è uno dei libri più divertenti e inquietanti che mi sia capitato di leggere di questi tempi. Non è tanto o solo un thriller ben congegnato, ma è anche una riflessione amara sul sistema dell’informazione in generale, su come funziona la democrazia negli Stati a sovranità limitata, sulla complessa rete che collega la politica all’economia, l’uso disinvolto degli apparati dello Stato in nome di un non meglio identificato interesse nazionale...
Gallo è, come il suo protagonista, un giornalista dal curriculum lungo e importante. Ha fatto l’inviato in Medio Oriente per La Stampa, ne è stato il responsabile degli Esteri, ha ricoperto la carica di corrispondente da Londra, scrive oggi per Al Jazeera e per Asia Times, sa insomma vita e morte di questo mestiere, così come l’aver vissuto a lungo all’estero gli permette di comprendere meglio le debolezze del nostro Paese. «Quel paese di suoni e colori speziati, di cibi e di vini buoni, di morali comode e sensazioni facili era in realtà un posto molto pericoloso, se non riproducevi, più o meno consapevolmente, i previsti comportamenti di massa. L’estremismo, l’ostinazione, la più ottusa onestà o semplicemente il caso ti conducevano in un’area di dissenso che non era tollerata, al di là delle apparenze di cartapesta tenute in piedi dalla quotidiana propaganda dei media e del mondo dello spettacolo. Schiere di zelanti attivisti, autonominatisi guardiani del conformismo compilavano instancabilmente liste di proscrizione da trattare con crescente crudeltà e insofferenza. Orde di mezze calzette, con la missione di riprodurre i cliché della narrazione ufficiale, si credevano gli anticorpi di un sistema che aveva il suo centro di potere in un altro continente, al di là dell’Oceano profondo. Nessuno era sfiorato dall’essere di fatto un traditore della propria nazione e del proprio popolo, un collaborazionista. Al contrario c’era in loro una specie di patriottismo senza frontiere che, a patto di restare sulla superficie, li faceva sentire dalla parte del bene e della giustizia». Vi ricorda qualcosa?
Scritto in modo coinvolgente e mai sciatto, pieno di trovate, colpi di scena, riflessioni, Cani di carta ricorda certi meccanismi letterari alla Eric Ambler e alla Vladimir Volkoff, anche se la realtà del nostro tempo non gli concede gli eroi nonostante tutto del primo o la consistenza ideologica del secondo. Rispetto al Novecento che è stato il loro, giornalisticamente parlando il XXI secolo è sempre di più una delusione.