la Repubblica, 2 giugno 2024
Susan Sontag: Ode alle donne
Saggista già affermata a livello internazionale, dalla fine degli anni Sessanta Susan Sontag si avvicina ai movimenti contro la guerra in Vietnam, prima, e al femminismo poi, da attivista, oltre che da intellettuale. Tra le due posture, però, nonostante qualche sbandata, la seconda resta sempre e comunque preponderante, consentendole una capacità critica in cui si combinano le qualità di una mente affilata e l’attitudine caratteriale a essere sempre e comunque una «scrittrice antagonistica, una scrittrice polemica», come definisce sé stessa nei diari dell’epoca.
Non risparmia critiche all’ambiente della New Left e al mondo della sinistra in generale perché «legittima e incoraggia in modo acritico “abitudini” sessiste di ogni genere» (le fatiche e i conflitti della «doppia militanza» sono fin troppo familiari a quasi tutte le donne che facevano politica a quell’epoca, anche in Italia) e, ancora peggio, fomenta l’anti-intellettualismo – un peccato, per lei, imperdonabile.
Tra dispute su grandi temi ed elementi di rivalità personale, Sontag si colloca in modo dialettico anche all’interno della galassia dei femminismi. In quanto donna affermatasi molto giovane in un ambiente spiccatamente maschile come quello intellettuale, rappresenta un punto di riferimento per la successiva generazione di intellettuali e aspiranti tali, un idolo da ammirare e insieme abbattere, come emerge dagli ironici resoconti di Camille Paglia in uno scritto che, facendo il verso a una famosissima canzone degli U2, s’intitolava inequivocabilmente Sontag, Bloody Sontag (cioè «Sontag, dannata Sontag»). Tra le righe di questi saggi diSulle donne (Einaudi Stile libero, traduzione di Paolo Dilonardo, pagg. 216, euro 16,50), affiorano alcuni dei temi su cui i femminismi si spaccarono, talvolta con punte di conflitto acuto.
«Il fatto che, a differenza degli uomini, le donne partoriscano non prova certo che donne e uomini siano fondamentalmente diversi», sentenzia Sontag, schierandosi su una questione tutt’altro che pacifica ancor oggi. Da Nato di donna di Adrienne Rich alle riflessioni più recenti di Adriana Cavarero, alcuni filoni del pensiero della differenza hanno riletto la facoltà femminile di generare come una specifica modalità ed esperienza di conoscenza con risvolti etici importanti, distinguendo tra il rapporto potenziale della donna con le sue capacità riproduttive e l’“istituto della maternità” come strumento di dominio maschile.
Sulle donne include un duro confronto proprio tra Sontag e Rich, che – con il senno di poi – ci appare come la punta di un iceberg. L’occasione è il saggio Fascino fascista su Leni Riefenstahl, in cui Sontag – sebbene si cerchi di sminuire la cosa – modifica in modo drastico la ben più generosa valutazione formulata un decennio prima sulla regista dei grandi film di propaganda hitleriana, con ampie riflessioni sull’estetica fascista e i bisogni profondi che il nazismo seppe captare (sono gli anni degli studi di Mosse sulle radici culturali del Terzo Reich e la nazionalizzazione delle masse). Dapprima Rich rimprovera Sontag perché non trova, nel suo scritto, un «rispecchiamento dei valori femministi» espressi altrove: un richiamo da leggere nel clima e nel senso d’urgenza delle battaglie dell’epoca.
Sul punto, Sontag sostenne sempre l’importanza di non tradurre il femminismo in un terreno separato, soprattutto in campo intellettuale, preoccupata che le donne, anziché dischiudere e conquistare nuovi spazi, si autoconfinassero nel recinto di una cultura o una scrittura “femminile”. Colpisce, però, la veemenza della replica di Sontag, che di rimando accusa anche Rich, poetessa e saggista di raffinata cultura, di anti-intellettualismo, «persistente aberrazione della retorica femminista», oltre che della New Left. «Si desidera semplicemente vedere la mente di questa donna affrontare una complessità più profonda a partire da una solida base emotiva», era, in realtà, il cuore della critica di Rich. Con queste parole, sottolinea il biografo Benjamin Moser in Sontag: una vita,la poetessa tocca evidentemente un nervo scoperto. A partire dalla centralità che il femminismo attribuisce al lavoro di autocoscienza, coglie una debolezza percepibile anche scorrendo queste pagine, in cui la sessualità è trattata in modo cerebrale, a volte provocatorio, mentre affiorano richiami al “lesbismo militante” che suonano artefatti, come semplici slogan. Paiono spie di un disagio profondo.
Sontag ha rifiutato di riconoscere pubblicamente la propria omosessualità per quasi tutta la vita. Solo nel 2000 accetta – con estrema fatica – di parlare alNew Yorker di quel «segreto noto a tutti», limitandosi però a dire di aver «avuto relazioni con uomini e donne».
Sontag ha sempre rivendicato il diritto a non parlare di sé, a sciogliere la propria scrittura dal legame col vissuto. Dietro queste orgogliose affermazioni, grazie ai diari di cui David Rieff, l’amatissimo figlio di Sontag, ha voluto e curato la pubblicazione dopo la sua morte (in Italia sono usciti per i tipi di nottetempo i primi due volumi, Rinata e La coscienza imbrigliata al corpo, che coprono gli anni dal 1947 all’80) sappiamo oggi quanto profondi fossero i sentimenti di vergogna che ella provava a riguardo, l’agonia di avvertire in sé una perenne dicotomia tra la mente e un corpo in cui non si sentiva mai davvero a casa.
Come suona doloroso, allora, quando ne Il terzo mondo delle donne precisa, quasi in uno scatto: «Non mi descriverei mai come una donna liberata» – perché la liberazione è tutt’altra faccenda, rispetto alla mera emancipazione. «Devo vivere ancora molte cose prima di potermi liberare», annotava anche sul suo diario nel luglio del 1971. Parole in cui, fragile e umanissima, trasmette quanto lungo, profondo e spesso doloroso possa essere per le donne questo cammino, tassello indispensabile e irriducibilmente singolare dentro a una grande marcia in cui si avanza soltanto insieme.
Perché, come scrive Sontag a conclusione di quello stesso saggio, la responsabilità «di vivere la vita più piena, più libera e più immaginativa possibile» si accompagna a quella, altrettanto fondamentale, della solidarietà nei confronti delle altre donne.
Pubblichiamo la prefazione di Benedetta Tobagi al libro di Susan Sontag “Sulle donne” (Einaudi)