Corriere della Sera, 2 giugno 2024
Intervista a Patrizia Caselli
Patrizia Caselli mi ha portato una foto. Una sola. Le avevo chiesto le più significative di una vita, quelle con Bettino Craxi che ha amato per nove anni e che seguì nella latitanza ad Hammamet; quelle con Walter Chiari, che ha amato per sette, stando con lui sui palcoscenici come nelle aule di giustizia quando con Enzo Tortora furono indagati per droga; quelle con Giucas Casella che le ipnotizzava gli ospiti nel suo salotto Rai della domenica pomeriggio. La foto incornicia due occhi di ragazzo. «Sono di François, mio figlio: ha 17 anni, è il segno del mio passaggio nel mondo. Gliel’ho portata perché ha il mio stesso sguardo». François ha occhi nerissimi, viene dal Congo: «Per me, essere un genitore adottivo unisce più del legame di sangue, per l’esercizio continuo di non cadere nel vuoto che abbiamo entrambi: mi mancano i tre anni in cui nessuno lo ha cullato, accudito. Con questo vuoto fai i conti, non lo ripari».
Che cosa vede nel suo sguardo?
«Una similitudine: anche a me, a volte, andare avanti spaventa».
Adesso, c’è qualcosa che la spaventa?
«Il carcinoma al polmone che mi hanno trovato il 6 febbraio. Un tumore al terzo stadio su quattro. È la prima volta che ne parlo. Sono terrorizzata, non sono pronta a lasciare niente, non solo un figlio».
Che speranza di vita ha?
«Continuo a chiederlo al medico e non riesco a trattenere il dato che mi dà. Al Policlinico di Milano, mi hanno asportato mezzo polmone destro e dei linfonodi trovati in metastasi, cosa che non si aspettava neanche il medico. Quello è stato il momento più brutto. Avevo sperato che non fosse necessaria la chemio, ma ora l’ho cominciata. L’altro momento brutto è stato dirlo a François. Mi ha risposto “supereremo anche questa”. È la frase che ci siamo ripetuti anche durante la difficile separazione da suo padre».
Si è chiesta: perché io?
«Sa che no? Mi sono chiesta: in una vita sola, anche questo? E poi ho pensato: però, è tutta esperienza».
Com’è che una donna finisce per amare due uomini ingombranti come Chiari e Craxi?
«Perché non è pronta a un passo definitivo e, non a caso, in loro non c’era progettualità. Io, già da ragazzina, pur con genitori che si sono amati, quando dalla strada vedevo le finestre con le luci accese in cucina, ero presa dall’angoscia».
Col senno di poi, come se lo spiega?
«Quando a 45 anni ho creduto di poter fare la moglie del medico che si occupa di me sono franata: ho capito che ho bisogno di costruire il “per sempre” col giorno per giorno, non di darlo per scontato. A parte che fare la moglie del medico era di una noia mortale».
Che cosa c’era di così noioso?
«Non erano noiosi loro, ma da dove arrivavo io, ero nel mio cielo, mi divertivo. Con Walter ho girato il mondo, ero con lui quando riempì il Madison Square Garden. Con Craxi… Anche di lui ero innamorata persa. E con entrambi c’era l’ironia anche nella tragedia».
Che vita aveva sognato da bambina?
«Di essere atleta. Nella Nazionale giovanile di atletica leggera ho imparato a lavorare duro per alzare l’asticella di un centimetro, poi di due. Il giorno in cui mi sono fratturata tibia e perone e ho dovuto lasciare è stato il più brutto di tutti».
Come si reinventò?
«Sfilaii per Nina Ricci e scoprii un mondo perché mi pagarono tantissimo. In due anni, facendo la spola con Parigi, avevo risparmiato abbastanza per mantenermi in tournée teatrale, pagandomi l’albergo senza dover condividere stanze col resto della compagnia. Avevo iniziato a recitare da bambina, mi piaceva perché, ogni volta, il pubblico risponde a una battuta in modo diverso: è come fare gli stessi cento metri ma il risultato non è mai uguale».
L’incontro con Chiari: lei 19 anni, lui 36.
«Mi vide in teatro e mi fece chiamare per un provino. Non saprei dare un inizio esatto, bisognava farsi spazio come nel gioco delle tre sedie: aveva una fidanzata, Marina Occhiena; si aggirava lo spettro di Anna Maria Rizzoli e c’erano altre donne. Per ufficializzare, c’è voluto tempo».
Perché valeva penare?
«Con lui ho conosciuto un’epoca. I suoi amici erano giganti dello spettacolo e i Barilla, gli Agnelli, i Rizzoli. Assorbivo tutto. Mi nutrivo di discorsi, citazioni. Ci sono libri che non so se ho letto o se me li ha raccontati Walter. Abbiamo fatto insieme tournée di straordinario successo. Hai mai provato nell’acqua calda? è durato tre anni non tre giorni. E, poi, ridevamo tanto».
Un ricordo esilarante?
«Andai al Festival di Vigna del Mare in Cile e lo vinsi. Al che, mi presero per uno show con Julio Iglesias, Priscilla Presley, Miguel Bosè. Walter pensò bene di arrivare. Scese dall’aereo scalzo e con un solo stivale in mano: in volo, era riuscito a perderne uno. Un po’, per quell’arrivo mi arrabbiai anche: quando mi godevo qualcosa di solo mio, lui arrivava e spostava il mondo. Ero per tutti “la fidanzata di”».
Il film su Bettino
Nella pellicola di Amelio è stato deciso che io non dovessi esserci. C’è una donna, interpretata da Claudia Gerini, che sta con lui un giorno. Io ci sono stata fino alla fine
Il gioco delle tre sedie si era fermato?
«I tradimenti erano continui. Lo capivo perché inventava scuse sconclusionate. Seppi di Pamela Prati perché lui disse: devo andare in un posto segreto, meglio che non sai nulla. Andò in Giamaica con lei e, al ritorno, gli diedi un aut aut. Al che Walter, mentre era in treno con Pamela, a Bologna, le disse che scendeva un attimo a comprare il giornale e tagliò la corda».
Risate. Tradimenti. Lacrime vere?
«Negli ultimi anni, spariva anche due, tre giorni, era depresso: l’uso della cocaina era aumentato. Io ero giovane, non sapevo come aiutarlo, provavo a sottrarmi, ma mi mancava».
Nell’estate del 1985 veniste indagati per traffico di droga.
«Il cosiddetto pentito era lo stesso di Enzo Tortora: Gianni Melluso, che vendeva memoriali dal carcere a cinque, dieci milioni. Ma andai dal Pm e, agenda alla mano, gli dimostrai che io e Walter non eravamo affatto nei posti indicati da Melluso nelle date indicate da Melluso. Ne dimostrai l’inattendibilità, cosa poi decisiva per scagionare anche Tortora. Per Walter fu comunque un brutto colpo: tv e cinema iniziarono a chiamarlo meno. Ne fecero lo spazzino delle coscienze altrui. Dopo, i momenti bui iniziano a superare quelli di luce».
L’arrivo di Bettino Craxi?
«Per colpa di Walter: si era convinto che l’avessi lasciato per Craxi, anche se io Craxi l’avevo visto sempre solo con lui. Un giorno, Craxi – che ai tempi era premier – mi fa convocare nel suo ufficio di Milano e mi dice: bisogna che spieghi al tuo fidanzato che ho già problemi, ci manca solo che mi mettano in conto amanti inesistenti. Lo informai che ci eravamo lasciati da due anni. Scoprii poi che Walter andava dicendo: se stesse con chiunque altro potrei riconquistarla, ma sta con Bettino».
Perché si era fatto questa idea?
«Secondo Bettino, perché conosceva bene sia me sia lui. In effetti, la prima volta da Craxi al Raphaël, ho ritrovato i miei stessi libri, lo stesso odore che riconoscevo come mio. Ricordo di aver pensato: qua mi frego. Fra l’altro, avevo un programma mio – avevo portato la cronaca nera nel pomeriggio di Raidue con grandi ascolti – e non volevo passare come l’amante di Craxi. Anche lui, poi, mi confessò che per un anno mi aveva ricevuta solo in ufficio per evitare “di fare un macello”. Fra noi iniziò a dicembre 1990. Tredici mesi dopo, iniziò Tangentopoli. Ho vissuto di quest’uomo il momento più crepuscolare».
Era presente al lancio delle monetine?
«Ero al Raphaël con lui, ma ero uscita dal retro, mentre lui volle affrontare la folla».
Come fu vivere quei giorni?
«La ferita più grande fu leggere Claudio Martelli che vantava una sensibilità diversa sulla questione morale o scoprire che Giuliano Amato, 24 ore dopo che lui l’aveva indicato alla presidenza del Consiglio, non gli rispondeva al telefono. E poi accorgersi di quanti erano spariti mentre era ad Hammamet: tanti dicono che erano lì, ma io non li ho visti e so di ogni incontro, di ogni colloquio, di ogni fax».
Non pensò mai di sfilarsi?
«Mai. Pensai solo a come liberarmi del contratto Rai, dalla seconda edizione di Se fosse, la domenica. Craxi mi diceva: non ho nulla da offrirti. Ma sono felice di averlo seguito perché oggi posso dire: alla fine, sono una donna di sentimenti; per amore, faccio saltare il banco».
Andò a vivere ad Hammamet, ma ad Hammamet c’era anche la moglie di Craxi.
«Stavo attenta a non andare nei posti frequentati da Anna. Craxi cercava ogni giorno di pranzare o cenare con me. Ho cambiato casa otto volte: una volta, avevo trovato tutto sottosopra e un machete sul letto; un’altra, alla mia donna di servizio qualcuno aveva chiesto di consegnare le carte che buttavo nei cestini…».
Ha mai chiesto l’esclusiva?
«No, era l’amore di tutte le persone presenti ad Hammamet, nessuno escluso, a far sì che Bettino sopravvivesse in quelle condizioni»,
Cosa non immaginiamo di quei giorni?
«Io c’ero quando la scorta diceva: oggi non usciamo, ci è stato segnalato un pericolo. So come Bettino guardava il mare, sapendo che di là c’era l’Italia. Nel film di Gianni Amelio è stato deciso che io non dovessi esserci. C’è una donna interpretata da Claudia Gerini che sta un giorno, ma io c’ero sempre. C’ero quando cantavamo le canzoni napoletane: la preferita era quella delle spingule francesi. C’ero nei suoi ultimi giorni, quando andò a salutare amici pescatori come se si congedasse per sempre e gli dissi: se non ci credi tu, è finita, io non ti accompagno nel pellegrinaggio di addio».
Non c’era quando morì.
«Non ce l’aspettavamo. Non c’era neanche Anna. È morto fra le braccia di sua figlia Stefania. Non la considero una coincidenza, era più un non far torto a nessuno».
Il figlio François
Per me essere genitore adottivo unisce più del legame di sangue, per l’esercizio continuo di non cadere nel vuoto dei suoi primi tre anni in cui nessuno lo ha cullato
Oggi, qual è la sua speranza più grande?
«Tornare a vedere le stelle ad Hammamet».