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 2024  giugno 02 Domenica calendario

In morte di Philippe Leroy

È morto ieri sera a Roma, a 93 anni dopo una lunga malattia, uno dei più popolari attori francesi che avevano trovato fortuna in Italia, Philippe Leroy, l’eroe di tante antiche serate televisive. Philippe Leroy Beaulieu debuttò in tv con «La vita di Leonardo da Vinci» di Castellani nel 71, poi prese parte al «Giovane Garibaldi» e fu l’avventuriero portoghese Yanez nel «Sandokan» di Sollima nel 75 con Kabir Bedi. Fu uno degli eroi nazional popolari della nostra tv anche se gli esordi sono in Francia, e d’autore («Il buco» di Becker, 60), così come le sue origini sono nobili, con un padre marchese negli uffici della Nato e molti militari e giudici: inevitabile la laurea in scienze politiche ma poi il giovane Philippe scappa in continui viaggi nel mondo per conoscere il gusto dell’avventura e di una vita sconsacrata, facendo il combattente paracadutista in Indocina, il mozzo e il trafficante d’armi, prima di tornare a Parigi.E sceglie di fare l’attore, un mestiere che in fondo riassume il gusto per la zona rischiosa e non noiosa della vita. È alto, bello, sguardo on ice, uno di cui non ci si fida, una faccia da noir, ma sono in realtà gli italiani a sfruttarlo, come accadde allora anche per Delon, Belmondo, Sorel, Brialy. 
Il suo titolo mitico nel ’65 è «7 uomini d’oro» dove fa il professore delle rapine in banca, accanto alla Podestà e la regìa di suo marito Marco Vicario, con un sequel assicurato dal successo popolare. Ma il primo a scritturarlo fu Caprioli in «Leoni al sole», cui seguono Camerini, Freda, Bolognini, e De Bosio nel Terrorista». Frequenta tutti i generi, ama e spara, molti sketch di film a episodi allora in auge, storie da spiaggia «Frenesia dell’estate» di Zampa e il raffinato «Attico» di Puccini. Seguono gialli («La donna del lago»), fa Silla in «Solo contro Roma», è nella Roma settecentesca delle «Voci bianche» e in «Una vergine per il principe» di Festa Campanile, mentre nella»Mandragola» di Lattuada si gode le grazie di Rosanna Schiaffino. 
Fiction 
Per una stagione finì pure per interpretare il ruolo di un vescovo in «Don Matteo» 
Un romanzo d’amore ben riuscito è «Senza sapere niente di lei» di Comencini con la Pitagora. Una lista infinita di titoli, centinaia, con qualche grande ritorno in patria (è perfetto amante in «Una donna sposata» di Godard), ma anche «Il giorno più corto» di Corbucci. Lavora molto con la famiglia Vicario, ma prova anche l’unico western di Tinto Brass, «Yankee», prima della conversione erotica. 
Attor giovane che invecchia scopre così i mezzi toni di Pietrangeli, Comencini, Lizzani, arrivando fino a «Cuore di mamma» di Samperi. Eccelle nel gangsterismo anni 70, i poliziotteschi come «Milano Calibro 9», ma nel 74 si prende una vacanza d’autore con la Cavani (con cui farà tre film) nel «Portiere di notte», finchè esplode la popolarità formato tv, cui alterna sempre il cinema, fino alla commedia «Qua la mano» (dove fa il Papa), ai Vanzina risalendo a papà Steno e al «Tango della gelosia». 
Ma espatria con classe, nei «Dèmoni» di Wajda, in «Nikita» di Besson, in «Mario e il mago» di Brandauer e in «La ville est tranquille» del maestro marsigliese Guédiguian. Le ultime leve di italiani sono Martinelli e Pieraccioni, l’ultimo ciak con Lanzotti in «La notte è piccola per noi». Ma anche in tv ha una carriera parallela con «E la vita continua» di Risi e «Quo vadis?» di Rossi in cui è San Paolo. Infatti fra tanti peccatori in «State buoni se potete» di Magni è Ignazio di Loyola accanto a Dorelli-Filippo Neri, finendo a fare il vescovo in una stagione di «Don Matteo». Da considerare una parentesi teatrale di prestigio: «L’isola degli schiavi» di Marivaux diretto da Strehler al Piccolo e «La donna del mare» di Ibsen con Bob Wilson.