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 2024  giugno 01 Sabato calendario

PRONTUARIO PER IL PAPA: ECCO COME NASCE L'INSULTO "FROCIO" - IL PRIMO AD USARE LA PAROLA NEL SENSO DI "OMOSESSUALE" È STATO IL POETA ROMANO GIOACCHINO BELLI NEI VERSI DI "LA PISCIATA PERICOLOSA" DEL 1830. PRIMA DI ALLORA IL TERMINE INDICAVA GLI STRANIERI (DA 'PARLARE FLOSCIO' O DA 'FROSCE' DEL NASO, PER DESCRIVERE LE PERSONE CON IL NASO GROSSO) - LA TENDENZA A INSULTARE CHI PARLAVA IN MODO "DIVERSO" NON ERA UN'ESCLUSIVITÀ ROMANA: A NAPOLI SI USAVA LA PAROLA "FROSCIO TARTANTE" O "TARTAGLIANTE" PER DESCRIVERE CHI… -

Tre schiavi, sotto gli occhi del loro capo, trascinano a fatica una colonna in una basilica romana. Si fermano, si asciugano il sudore, riprendono e poi si fermano di nuovo. Il boss si innervosisce e li apostrofa «fili dele pute», vale a dire figli di puttana. È la fine dell'anno Mille, lui si chiama Sisinnio ed è passato alla storia per essere stato il primo a utilizzare, anche se nella forma non definitiva, la più antica parolaccia italiana, appunto «puttana».[…] come ricorda lo storico della lingua italiana Pietro Trifone in Brutte, sporche e cattive (Carocci, pagine 132, euro 13), che è una storia specialistica e divulgativa delle parolacce più diffuse della lingua italiana. […]

Ancora poco chiara, invece, l'origine di «frocio». Il primo a usarlo nel senso di «omosessuale» è nel 1830 il poeta romano Gioacchino Belli, nei versi di «La pissciata pericolosa». Prima di allora con «frocio» o «froscio» sono indicati dagli italiani gli stranieri, in particolare i tedeschi e i francesi. «Frosce» significa «narici» e quindi ci si riferisce a quei tempi a uomini con il naso grosso. La locuzione «parlare frocio», attestata tra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta del secolo scorso soprattutto nelle locande romane, significa «parlare straniero».

[…] Nel 1873 nel vocabolario napoletano di Raffaele D'Ambra compare il termine «froscio» con due sfumature semantiche per indicare lo stesso senso: indica il «forestere che non parla nel dialetto» e l'individuo «floscio», che parla con la erre moscia, come il tipico francese. Nel 1910 il medico napoletano Emanuele Mirabella in Mala vita, dedicato al linguaggio dei camorristi e dei delinquenti in genere, registra anche dalle nostre parti il cambio di senso assegnando «a froscio il significato di effeminato e a frocio quello parzialmente affine di pederasta passivo, riportando fra l'altro l'espressione del dialetto partenopeo froscio cianciuso, tartante, da lui tradotta sinteticamente con effeminato».

Trifone sottolinea che a Napoli con il termine «ciunciuso» riferito a una donna si intende «graziosa, leggiadra», mentre quando è riferito agli uomini assume il significato di «affettato, lezioso, svenevole» e qualche volta «stomachevole». Il froscio tartante o tartagliante, oltre a essere effeminato, si rivela affetto da balbuzie: «tartante è infatti un parente stretto di tantan, voce onomatopeica dei camorristi citata dallo stesso Mirabella e da lui tradotta appunto con balbuziente». Sicché, conclude l'autore, «a Napoli il froscio era un forestiero di cui non piaceva il modo di parlare, ora apprendiamo che poteva essere effeminato e persino tartagliare, proprio come facevano i barbari di più antica memoria». […]