Il Messaggero, 1 giugno 2024
Intervista a Eshkol Nevo
«Il titolo italiano del mio libro, Legami, può avere due significati. Legàmi, relazioni tra le persone, ma anche légami, come nel film di Almodóvar, in senso fisico, pieno di energia erotica. E il mio è un libro molto fisico. Mi sembra meraviglioso. Chi può chiedere di più?». A parlare è Eshkol Nevo, che lunedì alle 21 presenterà la sua riuscitissima raccolta di racconti a Roma, al cinema Nuovo Sacher, con Sandro Veronesi e un lettore d’eccezione: Nanni Moretti. «Non penso che esista qualcosa di più interessante che raccontare le storie di coppie, di legami affettivi. È il territorio più confuso e intrigante della nostra vita, pieno di enigmi, di domande, di zone grigie. Forse un giorno capirò tutto delle relazioni e mi occuperò di robot. E magari comincerò a scrivere di relazioni con i robot».
Nelle due storie che aprono la raccolta, “Hungry Heart” e “Meno drammi possibile”, lei racconta un uomo che vuole vedere un concerto di Springsteen prima di morire e una donna che incontra il figlio abbandonato decenni prima. Non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta?
«Sicuramente. Ma a volte, fare la cosa sbagliata è la scelta migliore possibile. Prendiamo un altro racconto, Ogni cosa è fragile. Come si pronuncia in italiano, me lo dice? Ah, ecco: fra-gi-le. Innamorarsi della sorella del tuo migliore amico, che è sposata, durante un funerale, può sembrare che non sia una buona idea. Ma questo errore ha un esito molto buono. È una storia d’amore. Lo sa qual è uno dei temi principali di questo libro?»
Me lo dica.
«È questione di tempo (dice in italiano, ndr). In che modo lo scorrere del tempo ci cambia? In che modo possiamo guardare la nostra vita? Se sei arrivato fino a metà del tuo percorso, puoi guardare il passato e anche il futuro. Parliamo di un altro racconto, intitolato Flies. Come si dice flies? Ah sì. Mosche. Un ragazzo ricorda qualcosa che è successo nel suo passato e se ne vergogna».
Come ha strutturato i racconti?
«In ogni storia cerco di dare un senso al concetto di tempo. Il libro è un viaggio in cui ogni storia è una tappa. Un viaggio che inizia con un padre che sta morendo e finisce con una madre che muore».
Si è ispirato a qualche episodio della sua vita reale?
«A tutto, ma non è mai un copia-incolla della realtà. Per Campane mi sono ispirato alla morte della sorella di mia madre, che è venuta a mancare mentre ero in viaggio per il libro in Italia, due anni fa. Quando comincio a scrivere devo trasformare gli eventi in qualcosa d’altro».
Cosa rappresenta l’Italia per lei?
«Una sorta di seconda casa. Sono molto fortunato ad avere tutti questi lettori in Italia, che mi scrivono e mi seguono sempre. E-mail. Messaggi WhatsApp. Il mio romanzo Tre piani è stato portato sul grande schermo da Nanni Moretti, mi sento molto a mio agio nel vostro paese. Ieri a un evento in Israele il moderatore ha aperto l’evento dicendo che il libro è bestseller in Italia. Questo legame è qualcosa di molto speciale».
Le è piaciuto il film da “Tre piani”?
«Ci è voluto un po’ di tempo, ma è sempre un’esperienza stimolante, per uno scrittore. L’ho visto anche al cinema in italiano, senza sottotitoli, cercando di seguire i dialoghi. Il film è diverso dal libro: c’è questo tema del perdono che io non ho toccato molto. Eppure ho percepito che era questo il tema principale: come possiamo perdonare qualcuno? Quando è il momento giusto per dire “Mi spiace”?»
Ci sono altri progetti con Moretti?
«Ne stiamo discutendo, ma non c’è nulla di definitivo. Quando ci sarà una decisione, lo faremo sapere a tutti. Con Moretti è stata una buona esperienza: un ottimo regista, con un team e degli sceneggiatori di grande talento».
Torniamo al suo libro. In “Johannesburg” si parla dell’intervento a Gaza.
«Sì, eppure è stato scritto prima della guerra, tre anni fa. Nasce da un mio viaggio in Sudafrica, per un book tour. Non è certo paragonabile a Israele, ma mi hanno colpito molto i conflitti sociali. Penso che il ruolo della letteratura sia di fare luce su queste zone oscure di cui nessuno vuole parlare: in questo caso, il tentativo di reprimere un sentimento che ci disturba».
È vero, come scrive in questo racconto, che Israele avrebbe bisogno di un Nelson Mandela?
«Sicuramente. Israele e anche la Palestina: entrambe sono guidate da leader che non sono a favore della pace e non sono capaci di trovare una soluzione. E senza progressi, gli estremisti e le organizzazioni come Hamas possono proliferare. Se negli anni Novanta avessimo creato un processo di pace sostenibile con i palestinesi, non avremmo avuto questa guerra».
Il problema in Medio Oriente è che non si ammette la verità storica? Lei scrive di un massacro del 1948, a Deir Yassin, che tutti hanno rimosso.
«Il problema è molto più complicato. Ciò che è successo il 7 ottobre è un atto estremo e violento da parte di un’organizzazione fondamentalista: sono state stuprate donne e uccisi civili, anche bambini. Spesso pensiamo per slogan: “dal fiume al mare”, cosa significa? Io vivo tra il fiume e il mare. Siamo già qui e non riconoscerlo è negazione da parte dai palestinesi. Abbiamo rinnegato per molti anni anche la storia del 48. Ne ho scritto in Nostalgia. Entrambe le parti stanno negando la verità».
Lei è stato personalmente colpito dagli eventi del 7 ottobre, vero?
«Sì, una mia amica ha perso il figlio. Ed anche uno studente con cui ho lavorato per molti anni... Sa, mia figlia è una soldatessa e alcuni dei suoi compagni di classe sono stati uccisi, o sono stati presi in ostaggio. La mia vita è cambiata da quel giorno: ho iniziato a essere un terapeuta, più che un scrittore. Uso la scrittura creativa per permettere a tanta gente di ritrovare speranza e gentilezza in questa folle situazione. Sa, il libro nella versione originale si intitola Hungry Heart (cuore affamato, ndr)...»
Sì, il titolo del primo racconto.
«Già e lo sa di cosa è affamato il nostro cuore? Di speranza, di sollievo dal lutto. Vivere in stato di guerra per 9 mesi non è una situazione normale».
Anche Israele può avere una seconda chance di pace?
«Credo fermamente che entrambe le parti hanno questa possibilità, di chance ce ne sono state in passato, ma le abbiamo perdute. Ora devo essere ottimista. Stiamo parlando del mio paese, della mia famiglia, dei miei amici».