Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  giugno 01 Sabato calendario

Elly modello Enrico

Tempo lettura 4 minuti
Sabato 1 Giugno 2024
IL PERSONAGGIO/2
ROMA Berlinguer ti voglio bene. Firmato, Elena Ethel Schlein, detta Elly. Detta... Enrico. «Sì, la nostra Enrico», c’è chi scherzosamente al Nazareno ha preso ad apostrofare la segretaria del Pd. Chi con orgoglio, chi con una punta di stizza, fedele all’adagio «scherza coi fanti ma lascia stare i santi». E Berlinguer, nel partito che del Pci è il figlio, o forse il nipotino, è uno dei pochi totem rimasti. Un po’ per la trascinante forza carismatica di uno degli ultimi segretari comunisti, il leader della svolta e soprattutto del «sorpasso» sulla Dc. Un po’ per quel suo essere cantava Gaber «una brava persona», un campione di fair play istituzionale che con Giorgio Almirante si dava la mano. Insomma: sarà perché si torna sempre dove si è stati felici, sarà perché per vedere più lontano bisogna arrampicarsi sulle spalle dei giganti. Sarà, più prosaicamente, perché da destra e da sinistra c’è chi negli ultimi tempi ha provato a scippare a Schlein la memoria di uno dei suoi predecessori più illustri (vedi la standing ovation alla convention di Fratelli d’Italia a Pescara, ma anche le stoccate ricorrenti di Giuseppe Conte: «Quelle battaglie oggi siamo noi Cinquestelle a portarle avanti»). Sta di fatto che è lì, da Berlinguer, che torna Schlein.
Ci tornerà, fisicamente e idealmente, venerdì prossimo, con il comizio finale per le Europee dell’8 e 9 giugno a Padova. A quarant’anni esatti dall’ultima apparizione pubblica, sullo stesso palco, del leader comunista, il 7 giugno 1984. «Era anche quella una campagna per le europee», ha ricordato Schlein (che all’epoca non era ancora nata) annunciando l’evento. Fu il palco dal quale Berlinguer accusò il malore che lo avrebbe fatto spegnere cinque giorni dopo nella stessa città. E fu la tornata in cui per la prima volta i comunisti, sull’onda emotiva della morte del segretario e del milione e mezzo di persone in piazza San Giovanni a Roma per i funerali, presero più voti dei democristiani (il 33,3 contro il 32,9%).
«SORPASSO» E RISALITA
Quattro decenni e un incalcolabile numero di scissioni più tardi, l’obiettivo di un nuovo «sorpasso», stavolta su FdI, non pare troppo a portata di mano a guardare i sondaggi. Ma la risalita dei dem rispetto al mesto 19% delle Politiche 2022, quella sì che si può agguantare. Sognando quota 22%. Non saranno i numeri di Berlinguer, anche perché alle urne di quelle Europee andarono più di otto elettori su dieci, mentre per le prossime le previsioni dicono uno su due, bene che vada. Ma è pur sempre un inizio.
Non foss’altro che per tenere a bada quella minoranza interna a cui la svolta a sinistra che «Elly detta Enrico» ha impresso al timone del Nazareno proprio non va giù. Come non è andato giù, a qualcuno dei cattolici del partito (gli esponenti ex Margherita, estranei alla filiera Pci-PdsPd) il fatto che è sempre da quella parte che la segretaria guarda quando si rivolge al passato. Un esempio? La tessera 2024 del partito, su cui campeggia guarda un po’ un’immagine in bianco e nero degli occhi, sorridenti, di Berlinguer. Accompagnata dalle parole «casa per casa, strada per strada», pronunciate durante quell’ultimo comizio a Padova. «Fare rifermento ai padri storici è una buona cosa», il commento arrivato a suo tempo da uno dei big della minoranza, Lorenzo Guerini: «Dopo Berlinguer la stoccata l’anno prossimo potrà essere ricordato Moro». Chissà.
IL DISCORSO
Intanto però è a Enrico che si guarda. Nei simboli come nei contenuti. Ecco un passaggio dell’ultimo intervento pubblico del teorico dell’«eurocomunismo», che Schlein il 7 giugno probabilmente citerà (i suoi strateghi ci stanno ancora lavorando): «Votando Partito Comunista Italiano si contribuisce a portare in Europa un’Italia diversa da quella a cui l’hanno ridotta i partiti che l’hanno governata finora». L’Italia, continua Berlinguer, «delle forze sane della produzione, della tecnica, della cultura, l’Italia delle donne che vogliono cambiare la società non solo per acquisire una parità di diritti effettiva dell’accesso al lavoro, alle professioni, alle carriere, ma per fare parte della società con le doti generali di cui esse sono le peculiari portatrici dopo secoli di oppressione e di emarginazione». Parole che quattro decenni più tardi non sembrano così diverse da quelle che potrebbe pronunciare Schlein.
Che pure, da segretaria, ha fatto sua la battaglia che fu di Berlinguer sulla «questione morale», declinata nella lotta a «cacicchi e capibastone» e nel repulisti (non è ancora chiaro quanto riuscito) imposto al partito in Campania e al governatore Michele Emiliano in Puglia. «Sulla legalità non prendiamo lezioni da nessuno», il mantra della segretaria dopo le ultime disavventure degli esponenti dem pugliesi. «Io la chiosa rivolta all’alleato-rivale Cinquestelle, lesto a puntare il dito sul Nazareno da aprire come una scatoletta di tonno non ho bisogno di consigli: stavamo cambiando le cose già da prima».
Insomma: basta sostituire gli appelli per la Scala mobile a quelli pro salario minimo et voilà, dal 1984 al 2024, la lista delle priorità non cambia così tanto.
LA FOTO
Schlein lo sa, e sfrutta l’immaginario berlingueriano a suo vantaggio. «Magari lo sfruttassero anche tutti i suoi candidati si lascia andare qualcuno nel Pd sull’appartenenza all’ombrello della Nato, Berlinguer mostrò di non avere dubbi, a differenza di qualcuno che oggi corre per Bruxelles» (il riferimento è a Cecilia Strada e Marco Tarquinio).
Un immaginario carico di simboli. Alcuni dei quali di recente esposti a Testaccio, nella mostra curata tra gli altri dal fu tesoriere dei Ds Ugo Sposetti dove a Schlein è venuta l’ispirazione per la tessera dem. Oppure l’iconico scatto di Roberto Benigni che prende in braccio di sorpresa il segretario comunista. Una posa che Schlein ha in qualche modo replicato un anno fa, quando a prendere in braccio la leader dem in visita a un cantiere navale a Castellamare di Stabia fu un operaio di Fincantieri, Rosario Longobardi. «Berlinguer era un politico che stava dalla parte dei lavoratori, per questo per me è stato naturale farlo», disse lui, bollando come «assurda» la polemica sull’armocromista ingaggiato a trecento euro l’ora («Posso farlo io si offrì Longobardi quale miglior colore del blu delle tute degli operai?»). Elly nelle fabbriche, Elly negli ospedali. Più Paese reale, meno Ztl. Modello Enrico.